PAOLINA

 

COOP

PAOLINA – 1954 –

“La salute è il miglior guadagno, la contentezza è la migliore ricchezza, la fiducia è il miglior parente, l’estinzione è la suprema felicità.” (Buddha)

– ... noo! non te lo posso dare il mezzo Cynar... via... non mi far confondere. – Il vecchio Loris se ne andò via borbottando e strascicando i piedi. Da un po’ di tempo l’umore del ventottenne “banconiere”  era peggiorato, pareva seguisse l’andamento della sua chioma scura. Trovava spesso capelli sul cuscino e allo specchio vedeva con sgomento l’attaccatura salire sempre più in sù. Mario era diventato nervoso e sgarbato. 

Vanda, che di anni ne aveva tre meno di lui, e che si alternava al banco a distribuire “gassose” e caffè, anche quel giorno stava arrivando tardi a dargli il cambio.  Non andavano per niente bene e non avevano figli; a quanto pare lei non poteva averne. Anche Vanda non era più la stessa, si era come spenta; oltre a sentirsi inutile si sentiva anche brutta. In realtà Vanda aveva delle belle gambe e una bella postura. Fino a qualche tempo prima, quando arrivava impettita e sorridente tra i tavoli da gioco con le bevute richieste non passava inosservata. – ... la Vanda ha dei bei fiaschi. – mormorava qualcuno non tanto sottovoce. L’occhio furtivo si sollevava dal mazzo di carte per apprezzare quel tremulo candore che la camicetta appena aperta faceva intravedere; e ciò la rendeva di buon umore. 

Ma adesso la donna si era come ingrigita e inasprita e pensava che non ci fosse più niente da sbirciare e anche il suo aspetto fisico ne aveva risentito. Mario e Vanda erano arrivati al punto di non potersi più sopportare. La loro vita in comune continuava per forza d’inerzia dovendo portare avanti, insieme, l’impegno che si erano assunti con la Cooperativa. 

L’edificio aveva un tetto sormonatato sul davanti da una balaustra ad archi vagamente settecentesca ed era punto di riferimento per tutto il quartiere. La rivendita dei generi alimentari, assai frequentata, era al pianterreno, mentre al primo piano si trovavano il locali del circolo; sala da gioco, la sala con il bancone bar dalla quale si accedeva al grande terrazzo posto sul retro, e la stanza dove, come in trono, era allocata la televisione. Il ghiacciolo a quell’epoca costava  dieci lire e nelle sere d’estate venivano tutti, adulti, ragazzi e bambini. 

“Alla cooperativa” come si diceva comunemente senza distinguere il piano di sotto da quello di sopra, da qualche tempo ci veniva anche la Paolina che abitava con suo fratello sposato a tre case di distanza. Lei era una biondina magra e bassetta di diciannove anni, bellina e sorridente. Stava volentieri con i bambini che trattava come suoi coetanei e che la seguivano su e giù per le scale e per i corridoi.

Tuttavia i suoi occhi chiari, non che avessero dei difetti, lasciavano perplessi; a tratti parevano come vuoti, si capiva che non brillasse d’intelligenza. Rideva “di nulla nulla” e si diceva non fosse molto “rifinita” ma, secondo cert’uni, tra gli adulti, aveva comunque un bel “culo”; lei lo aveva capito e lo dimenava senza troppa malizia. 

Il fratello Fortunato la teneva d’occhio. Il babbo che era stato per anni carbonaio in Corsica, da tempo, da quando la moglie lo aveva lasciato solo nelle tribolazioni di questo mondo si era lasciato andare, ma provava dispiacere sapendo di lasciare un problema. 

In punto di morte gli aveva detto : – Mi raccomando, guarda la Paolina! –

La Vanda ci ragionava e ogni tanto, di straforo, le regalava una “spuma” o un ghiacciolo. Con lei si faceva grande e dimenticava per un po’ le sue frustrazioni. Le aveva insegnato a tingersi le labbra e quando non era il suo turno, distogliendola dalla compagnia dei bambini, avevano preso a girellare insieme nei dintorni.

 – Fu a causa delle sue forme aggraziate che un giorno, ma non si seppe mai di preciso per merito di chi, Paolina rimase incinta.

Era successo che davanti alla Cooperativa fosse iniziata la costruzione di un palazzo a quattro piani più il piano terra. I muratori, al vederla passare sotto al palazzo ancora in scheletro di cemento armato, la chiamavano: – ... Paolina!... Paolina!.. vieni su... vieni! – Mentre la biondina rispondeva salutando con la mano, Vanda volgeva in sù lo sguardo incuriosito verso quegli uomini giovani e forti. Non passava giorno che dall’alto non continuassero a chiamarla: – Paolina, Paolina ! –

Un giorno, con la scusa del panorama Vanda, allettata ed eccitata da quei richiami, la fece salire su per le scale ancora grezze del palazzo, pensando vagamente che qualcosa ne potesse ricavare anche per sé. L’accoglienza fu quanto mai festosa, gli uomini le si strinsero intorno, le facero le moine e lei ne fu contenta. 

Salirono quelle scale altre volte nei giorni seguenti per vedere quel panorama; era bello ma era sempre lo stesso: campi coltivati a grano ed erba medica, stradine e fossati punteggiati da salici piangenti, in lontananza qualche casa colonica con ampi porticati. Allora i muratori pensarono di festeggiarla davvero. Paolina, contenta per quello che pareva essere un’affettuosa novità, si lasciò docilmente sollevare e distendere su di un tavolaccio fatto dal carpentiere, usato per la sosta del pranzo. Quando qualcuno cominciò a esplorarla e ad abbracciarla, ridendo, lasciò fare. Poi si abbandonò e infine allargò le cosce. Provò dolore ma poi, più volte, provò piacere.

Vanda no, ne voleva uno solo, un moro forte come un toro dalle mani callose dal quale aveva preso a farsi corteggiare. Da lassù dove non la vedeva né Mario né  nessun’altro, sfogò le sue frustrazioni.

 – A Paolina crebbe una bella pancia a punta e dopo nove mesi nacque un maschietto di tre chili e mezzo. Cesarino, che sembrava crescere soltanto a guardarlo, cominciò presto a sorridere. Lo allattò e lo accudì con innato senso materno, come poteva fare una povera ragazza non proprio matura. Tuttavia, attratta dalle lusinghe della Vanda che, come ingannevole sirena la invitava ad andare a spasso, lo lasciava spesso alle cure della cognata e di Fortunato il quale, più che sentirsi baciato dalla Fortuna si era come rassegnato.

Quando l’anno seguente, a fianco di quel palazzo quasi ultimato, un altro simile ma un po’ più alto fu portato all’ultimo piano, il panorama ancor più vasto, e nondimeno la maschia umanità che a quel piano avrebbero trovato, costituì un’irrestistibile attrazione specialmente da parte della donna più matura, quella più motivata e smaliziata. Così Paolina che intanto, avendo messo su qualche chilo appariva ancora più sinuosa ed attraente, rimase incinta un’altra volta. Il fratello si disperò davvero. 

La mente immatura della ragazza non riusciva a controllare il proprio istinto femminile. Paolina era sì consenziente, ma quanto poteva esserlo una donna dalla mente infantile. In lei quell’istinto, sollecitato dalle furbizie animalesche di uomini affamati, come molla primordiale finalizzata alla riproduzione della specie, non poteva che esprimersi secondo natura.

Paolina aveva tuttavia il cuore buono e si prestava, per quanto potesse e specialmente nei confronti dei bambini che provavano per lei una gran simpatia, per aiutare chiunque, anche Vanda, la quale invece non esitava a servirsene per il proprio tornaconto. Se ne faceva scudo ed esca per le proprie lucide voglie delle quali ormai tutti sapevano.Vanda, pur riuscendo a soddisfare spesso e con voluttà quelle voglie, era tuttavia infelice. Gli intensi desideri appagati non riuscivano a spengere l’inquietudine e la tristezza da cui era pervasa. 

Viveva separata da Mario nella stessa corte di contadini da quando, ormai senza più remore, aveva cominciato a cercare la sua realizzazione in quel modo disordinato. Eppure, fino a quel momento aveva sperato che, vincendo il ribrezzo che provava nel giacere con lui, un uomo che ormai non amava più da tempo, un uomo che la colpevolizzava e umiliava, potesse ancora diventare mamma. 

– Perché a me no? Cos’ho che non va? – Guardava Paolina con invidia e cattiveria. Sentiva talmente il pungolo della sua mancata maternità che avrebbe preso di essere fecondata da chiunque dei suoi occasionali amanti, anzi ci sperava. Ma neppure il capo cantiere del primo palazzo che aveva già cinque figlioli, quel moro forte come un toro dalle mani callose, era riuscito nell’intento. 

 – Quei nuovi intrecci vitali, questa volta vissuti al sesto piano, avevano dato luogo al concepimento e poi alla nascita di Bettina, chiamata in tal modo in ricordo di nonna Elisabetta. 

Bettina, una deliziosa bambina già, all’affacciarsi della vita con capelli lunghi e scuri, spalancò presto gli occhi, come precocemente curiosa del mondo a cui ormai apparteneva. Quando vennero gli operai del palazzo a vederla, e vennero proprio tutti, pareva quasi li guardasse uno per uno, forse per indovinare chi di loro le avesse dato quegli occhi grandi e neri come il carbone.

Ma arrivata la primavera, al momento di essere portata a spasso, alla costruzione mancavano solo le finiture, soltanto pochi di quei lavoranti erano rimasti al cantiere. Tra quei lavoranti c’era Pasquale, l’unico a dichiararsi sicuro di non essere padre della bambina. Egli in quell’occasione se n’era rimasto in 

disparte. Calabrese, era arrivato a Prato da poco e si distingueva per la sua mitezza e per i suoi silenzi.

Della donna lui aveva una visione sua, un’idea quasi sacrale. Molto giovane, il viso sereno ma indurito dalla sua non facile vita trascorsa, aveva una sensibilità particolare, riscontrabile non di rado fra la semplice gente del sud. Era vissuto fino a pochi mesi prima tra le foreste della Sila a fare il tagliaboschi.  Era tra la purezza di quei boschi di alti larici che aveva maturato, non sapendone neppure come, quei sentimenti.

La primavera si stava rivelando rigogliosa; i piccoli rosai in fioritura adornanti le case a schiera stavano dando il meglio di sé profumando nell’aria di via dell’Abbaino. Pasquale non capiva se fosse più innamorato di Paolina o più affascinato dai due bambini, belli come quelle rose, che portava a spasso. Fatto sta che non poteva staccare la vista e il cuore da quelle tre innocenze. 

Non ci fu nulla da fare; non volle sentire i consigli che lo trattenevano dal fare quel passo; alla fine la sposò. La custodì come una bambina per evitarle altri miserevoli inganni. E lei, molto presto, lo ripagò rimanendone ancora incinta. Ma questa volta, come confermarono tutti, il padre del terzo figliolo era assolutamente certo. Tonio, che derivava il nome da quello del nonno Antonio carbonaio, aveva le piccole orecchie a sventola e una piccola voglia a forma di mezzaluna, sul collo, come il taglialegna silano. Pasquale riconobbe come figli suoi tutte e tre quelle creature.

Vanda rimaneva visceralmente invidiosa di Paolina e adesso non solo per quella terza creatura così bella; desiderare un figlio e non riuscire ad averlo le era sempre più penoso, ma anche a motivo di Pasquale, un uomo buono che teneva Paolina come fosse una regina. 

Allo stesso tempo non poteva fare a meno di starle vicina, di confrontarsi con colei che aveva sempre considerato una povera ragazza, ma che adesso, ai suoi occhi, riusciva pienamente in ciò che a lei era precluso. Viveva sentimenti di rabbia, invidia, tristezza,  si sentiva sola e si vergognava della propria condizione. 

Con il tempo quell’invidia trascese il motivo sorgivo, diventò un dolore interno, dell’anima, che si alimentava del suo stesso dolore. Trascorsero settimane e mesi, non trovava sollievo in nulla, e non cercava ormai neppure le occasionali passioni. Al banco del circolo, dove continuava spesso tetra e silenziosa a prestare servizio, non la riconoscevano. Perfino Mario, che la disprezzava ormai da tempo, ne era meravigliato.

 – All’altra estremità di via dell’Abbaino, all’angolo con via Pascucci, abitava Giuseppe Calamai con moglie e figlioletto.  Lui era il più benestante e istruito di quella fila di case a schiera. La sua era una bella abitazione e anche la più alta di tutte. Nessuno sapeva perché solo al Calamai avessero dato il permesso di aggiungere il secondo piano. E i pochi che vi erano entrati come il macellaio e il lattaio, testimoniavano di una certa agiatezza. Il suo posto di responsabile di sportello alle Poste consentiva a Fernanda sua moglie, di ordinare il magro di vitello quasi tutti i giorni. 

Tobia, il bambino di Giuseppe e di Fernanda aveva meno di quattro anni e non usciva mai per strada. La sua mamma temeva che, da quei bambini così poco educati, prendesse delle brutte abitudini. Preferiva farlo giocare nell’orto, da solo.

Tornò  di nuovo la bella stagione e un giorno Tobia fu attratto da certe voci infantili che, squillanti, penetravano dalla porta di casa lasciata aperta; così si affacciò sulla strada. Tra quei bambini che giocavano c’era Cesarino, il primogenito della Paolina e di Pasquale. Pareva che si conoscessero da sempre: – ... vieni?... come ti chiami? – ... e te?... – 

Fu subito amicizia, di quelle innocenti e forti dei bambini. Nei giorni seguenti la Fernanda non potè far niente per impedire che Tobia, impaziente, sostasse vicino alla porta ad aspettare il suo amico.

La signora si vergognava di abitare in quella strada piena di operai e di tessitori, sia pure all’estremità e un più in alto essendo via dell’Abbaino in leggera salita. Ma Giuseppe non ne voleva sapere; la casa l’aveva fatta il babbo e lui c’era nato e cresciuto. Così resisteva alle lusinghe di sua moglie: – Giuseppe, in Via dei Lecci c’è una villettina in vendita... eh?... ma perché non la vuoi neanche vedere?... eh? – 

Il responsabile delle Poste al circolo della Cooperativa ci andava volentieri. Beppe, come lì lo chiamavano tutti, seppure avesse simpatia per De Gasperi e non per i comunisti, era benvoluto. Tutte le sere o quasi, non poteva andare a letto senza aver fatto la sua partitina a scopa, briscola e ventuno. Al ritorno era sempre la stessa lamentela: – oh mamma come tu puzzi di fumo, Giuseppe... – 

Un sabato pomeriggio Giuseppe, tra le proteste della moglie vi portò anche Tobia il quale, sapendo che forse ci avrebbe trovato Cesarino, sprizzava gioia da tutti i pori. 

Arrivò anche l’estate e ormai l’uno non poteva fare a meno dell’altro. Una volta il dirigente delle Poste, mentre era inpegnato in “una mano” decisiva “a Ventuno”, non fece molto caso a Vanda che, nel vocìo della sala gli accennò, indicandoli,  che avrebbe portato i due bambini a vedere le galline. 

Forse in un momento di particolare tristezza aveva sentito il bisogno di godere della tenera presenza dei due piccoli facendoli un po’ divertire con le galline e con i conigli della gabbia. Forse invece il bambino immaginato e desiderato che esisteva nella sua mente somigliava proprio a Cesarino, la creatura  concepita in quei giorni al quarto piano di un palazzo in costruzione. Negli stessi giorni in cui lei stessa provò, senza successo, a smentire la sua infertilità con quel moro forte come un toro dalle mani callose e già babbo di cinque figlioli. Intorno a quel bambino Vanda, senza che nessuno potesse immaginarlo, nutriva fantasie, viveva emozioni, costruiva immagini sul futuro. 

La casa colonica dove abitavano i due coniugi ormai divisi, distava appena duecento metri; bastava percorrere un viottolo. Il Calamai, euforico, non aveva ancora finito di contare i punti della “mano” a Ventuno, quando notò i bambini, già di ritorno, con un sacchettino di semi di zucca in mano. Per Giuseppe che non si era accorto quasi di nulla, e per Tobia e Cesarino, quella fu una serata bella e particolare; il primo per la vincita, i due bambini per l’avventura alle gabbie degli animali.

 – Tonio, l’ultimo nato di Paolina aveva solo sei mesi quando accadde il fatto che scombussolò tutti gli abitanti della strada. Era una tiepida domenica di settembre. Verso le quattro del pomeriggio la gente, dopo il riposino favorito dal pasto più abbondante dei giorni di festa, si era affacciata davanti al proprio uscio; molte donne sedute sulla seggiola con i ferri in mano dando di spalle a chi passava, parlava con la vicina che, nella stessa postura, sferruzzava anch’essa a poca distanza. Ogni casa dava su un minuscolo cortilino diviso dal confinante da una bassa inferriata, che conferiva all’abitazione una sorta di dignità proprietaria. 

Si sparse la notizia della scomparsa di Cesarino. Il bambino che aveva poco più di quattro anni, da più di un’ora e mezzo non si trovava. La mamma, non vedendolo comparire, aveva cominciato a chiamarlo affacciandosi agli usci, tutti quanti socchiusi o aperti come si usava a quei tempi. Sapeva che di solito non si allontava troppo; era un bambino vivace ma non scapestrato.

– ... fa come le paure... appare e scompare... – diceva Paolina ai vicini come a tranquillizzare se stessa e gli altri. Inizialmente soltanto preoccupata, dopo un po’ prese invece a piangere. Arrivò anche Pasquale che sparse ancor più la voce. La gente, con sgomento, scese allora in strada per aiutare nella ricerca. Lo conoscevano tutti; dappertutto dove si intrufolava svelto come un topo  era come di casa, e tutti gli volevano bene. Lo cercarono in tutte le abitazioni, fino dentro ai ripostigli e nelle soffitte.

Alla Cooperativa arrivò la notizia. Dall’interno della sala un brusio forte di voci maschili. Anche sul terrazzo grande, posto al piano rialzato e che dava sui campi coltivati del Faggi, la gente aveva smesso di giocare a carte; molti erano usciti per saperne di più, alcuni erano in piedi che parlavano dell’accaduto, e quelli ancora a sedere stavano a sentire. 

Fortunato, il fratello di Paolina che era al tavolo da gioco fino a non molto prima, appena informato si era precipitato giù: – ... ma siamo matti, ma come è possibile... ma l’hanno chiamati i carabinieri? – Lui, suo malgrado come diceva a volte, si era ritrovato  a fare da babbo a quella sciagurata, a cui peraltro voleva bene. Solo quel matrimonio insperato con Pasquale gli aveva restituito un po’ di tranquillità.  Sulla strada aveva trovato la sorella piangente. 

– eccoli, eccoli! – L’urlo di Pasquale, mentre una Jeep dei carabinieri si accostava davanti al circolo, ebbe l’effetto di una scossa. Furono interrogati zio e genitori, e poi altre persone, tra cui Mario. Vanda non c’era. Il banconiere che da tempo aspettava il cambio, e che avrebbe voluto scendere anche lui in strada, non vedeva sua moglie da un paio d’ore: – Ora mi sente quella puttana – 

Loro ormai, come estranei, da due anni dormivano e vivevano ognuno per conto proprio in due delle vecchie case attigue, ormai come contadini “smessi”, all’interno dell’aja. La corte dei Puggelli, i vecchi erano tutti morti, troppo vicina al centro abitato era rimasta come un’isola triste, attorniata da campi incolti pieni di ortiche e pisciacani, destinati ormai da tempo a progetti edilizi. Tenevano solo galline e conigli a cui badava un vecchio zio “giovanotto invecchiato”. Non avevano avuto l’iniziativa di chiedere la separazione e poi nel 1958 quel rimedio non era cosa frequente né, nella pratica, molto utile.

I militi setacciarono per ore campi e fossi, perquisirono le case anche le più lontane, guardarono nei tombini e nei pozzi. Ma di Cesarino neanche l’ombra. Il giorno dopo la pelustrazione arrivò fino all’argine del Bisenzio ed oltre, ma senza successo. Il bambino da due giorni non si trovava e c’era ormai da disperare davvero. Il maresciallo maggiore redasse allora il verbale e poi convocò i genitori: – ... non c’è da perdersi d’animo signor Pasquale... vedrà che lo troviamo. – L’uomo annuì, ma poi sollevò la testa guardando il sottufficiale con occhi stanchi ma fieri: – Voi non lo so... ma io non mi arrendo. – 

 – Paolina allora si ricordò di Tobia. Nessuno lo aveva interpellato. – è troppo piccolo...  disse la sua mamma quando bussarono alla porta – ... non sa niente. –  Tobia, accorso alla porta, non vedeva il suo amico da due giorni ed era confuso, ma capiva, con l’intelligenza del cuore, anche sentendo quelle voci concitate, che Cesarino fosse in pericolo. Egli quella notte non riuscì a dormire come al solito. Si lamentò nel sonno più volte e fece anche la pipì a letto. Al mattino si svegliò presto e si volle alzare. Sulla tavola c’erano due uova sode fumanti. Giuseppe, a colazione, amava mangiare in quel modo che a sua moglie appariva stravagante. – ... mah... ma come tu farai... – diceva lei accompagnandosi con una smorfia. L’uomo addolciva le uova con miele di castagno e le mangiava con gusto prima del caffè-latte con il pane. Tobia prese l’uovo da sgusciare e ancora tiepido in mano poi, con un filo di voce farfugliò: – ... l’uovo... la gallina... della Vanda. – 

Giuseppe lì per lì non ci fece caso. Il suono delle parole infantili di Tobia, spesso tenero sottofondo allo stare insieme a tavola, non sempre attirava l’attenzione dei due adulti. Giuseppe si stava per alzare per prendere il bricco del caffè, quando gli risuonarono quelle paroline: – Che cosa hai detto?... cosa hai detto Tobia?... amore ridimmelo... – ... le galline... della Vanda... fanno l’uovo.

Ci pensò per qualche attimo poi corse alla Cooperativa. Arrivò in cima alle scale ansimando: – Mario... Mario, ma dov’è la Vanda? – Boh... e che ne so, sarà a casa sua!... perché? che t’importa di quella troia? – rispose il banconiere sorpreso. – Come mai non si vede più da un po’? – Lo zio m’ha detto che è malata... per me... la può anche crepare! –

Giuseppe, anche se vagamente, si era ricordato che quella donna, un mese e mezzo prima, la sera che aveva giocato bene e vinto gli aveva accennato qualcosa indicando con la mano i bambini: – C’era un gran casino, stavo vincendo e non le detti retta... lì per lì pensai che le avessero chiesto l’aranciata o non so che altro... e che volesse una specie di permesso... – 

Adesso qualcosa gli diceva invece che li avesse portati al pollaio. A volte Mario ne accennava, vantandosi delle sue galline e dei conigli grassi: – ... sennò che ne sapeva Tobia della gallina della Vanda? – pensava tra sé mentre intanto il banconiere serviva il caffè a due avventori.

– Senti Mario, la tua casa l’hanno vista i carabinieri? – ... certo, sono stati nella mia, in quella dello zio  e in quella della Vanda, ce l’ho accompagnati io. – ... ma il pollaio l’hanno visto? –

Mario sgranò gli occhi e si appoggiò la mano sulla fronte: – ... il porcilaio... lo stanzino dietro il pollaio... quello forse non l’hanno visto... perché?... tu pensi che... –

Scesero in un baleno, corsero per il viottolo, entrarono in casa dalla parte di Mario. Il banconiere prese un mazzo di chiavi e, attraversata l’aja, ancora di corsa arrivarono agli stabbi degli animali. 

Vi trovarono lo zio Nello mentre governava i polli: – Oh voi? – chiese sorpreso con quella voce tremula da vecchio. Mario non gli rispose, proseguì lungo un muro e, girato l’angolo, aprì una porticina, nascosta da un rampicante,  alta appena un metro. Era il vecchio porcilaio appena illuminato dalle fessure di una finestrella tappata, rimaste aperte. Il piccolo passaggio in basso verso il “trogolo”, anch’esso era sbarrato da assi di legno.  Il porcilaio era vuoto da tempo perché i maiali non ce li tenevano più. Vanda non li voleva disse, perché puzzavano. In compenso, come notarono subito, c’erano tracce di qualcuno che ci aveva dormito, un qualcuno di bassa statura: – ... Cesarino! – esclamò Giuseppe. Si guardarono negli occhi. Ma lui non c’era. 

Non ebbero esitazioni: – Vieni Beppe... la Vanda.. – Corsero fuori e raggiunsero la casa della donna, ma trovarono la porta chiusa a chiave: – Vanda... Vanda!, apri! – cominciò ad urlare Mario. Nessuno rispose. 

Il tarchiato e robusto banconiere allora prese una breve rincorsa e abbattè con una spallata la porta che era vecchia almeno di cent’anni. Nel camino, uno di quelli larghi e profondi con le trecce delle cipolle appese, ardeva ancora la brace. Dappertutto silenzio. 

Seguito dal dirigente postale, Mario salì come una furia le scale e, affacciatosi alla camera della donna li vide. Dormivano. Dormivano entrambi. Capìrono subito, dal viso terreo e dall’immobilità assoluta, che il sonno di lei fosse di quelli da cui non ci si risveglia.  Il petto del bambino invece andava su e giù e il viso era roseo, e dormiva profondamente. Giuseppe corse subito a chiamare gli affranti genitori e poi i carabinieri, mentre il banconiere, dopo aver spostato con delicatezza il bambino nel letto vicino e dopo averlo coperto, si mise a guardare la sua sfortunata sposa.

Pianse. Non era vero che la detestava, in cuor suo sopravvivevano ancora, pur frustrati, gli stessi sentimenti di allora. Si erano sposati ancora giovanissimi quando il mondo appariva loro pieno di promesse e di felicità. Ma poi la loro vita era girata in un altro modo; erano prevalse le accuse reciproche, il risentimento, le parole grosse. In pochi attimi, come non aveva mai fatto, riconobbe l’impietoso disprezzo per la sua aridità; in un baleno vide scorrere come in film i suoi gratuiti gesti di protervia maschile. 

Sentì allora lo scalpiccìo di passi lesti su per le scale; si asciugò gli occhi, appena in tempo perché non lo vedessero in quel modo.

 – Vanda aveva assunto, come disse il medico legale qualche giorno dopo, dell’arsenico, forse quello contenuto nel veleno per topi. La casa ne era piena. Al bambino, la donna aveva messo un po’ di sonnifero, non certo letale, nel latte. Certamente quella messinscena, nella mente ormai malata di Vanda aveva un significato. 

Lei non arrivò mai a concepire che si potesse essere madre anche prendendosi cura di qualcuno, o di qualcosa.  Lei “voleva” un figlio. Togliendosi la vita in quel modo, stretta in un dolore certamente lancinante reso insopportabile dalla sua mente malata, aveva messo il suggello alla sua aspirazione mancata. Avendo accanto a sé nel momento dell’eternità il bambino che avrebbe davvero voluto.

Tutti, e in modo speciale Paolina che le aveva voluto bene, provarono molta pietà per lei.

 – Cesarino e Tobia saltellavano su e giù dallo scalino del marciapiede. La voce della Fernanda che teneva in mano un piatto con due fette di pane con l’olio, li interruppe: – Venite bambini... c’è la merenda... – Giuseppe, l’unico in tutta via Dell’Abbaino ad avere acquistato la televisione, a parte il circolo che l’aveva già da un po’, era contento. Era sabato pomeriggio e si dispose anche lui, davanti alla magica scatola, per vedere “Lassie” e “Rin tin tin”.

Paolina negli anni ebbe altri cinque bambini; tutti con le piccole orecchie a sventola.

– fine –

Contatti

I nostri contatti

+ 39 0574/721611
parrocchiamaliseti@outlook.it
Via Montalese, 387, 59100 Prato

Links

Explore