IL LADRO SENZA UNA GAMBA

 IL LADRO SENZA UNA GAMBA  – racconto breve     

GAMBA                                                                          

– Riccardo era polemico e scontento; non gli andava proprio giù di condividere il marciapiede con il suo vicino di negozio. – ... vieni a vedere, che macello... vieni a vedere... nella raccolta della plastica icchè ci mette... roba da pazzi –
Riccardo Scuffi era un negoziante storico di via Santa Trinita; da sempre vendeva belle scarpe, non tutte all’ultima moda, ma di buona qualità; tuttavia, da quando quell’accidente del Ricci aveva venduto la propria licenza di cartolibreria era cambiato tutto. Aveva affittato il suo fondo ad un ortolano cinese: – ... un cinese mi doveva capitare... della roba... certi carciofi strani... fanno paura a vederli... o i cavoli?... son grossi il doppio... –

– La Sandra non ne poteva più di quei discorsi: – ... oh... se un tu n’hai più voglia... oh affitta... fai come i’Ricci... e s’ha un’età che la sarebbe anche l’ora... –
Ma lui non ne voleva sapere, il negozio era sempre stato la sua vita. Ci teneva parecchio alle sue griffes; è vero che la vendita stentava: – Ma vuoi mettere la soddisfazione... il cliente che compra qui... un altr’anno ci ritorna! –
E poi raccontava volentieri dei suoi rapporti privilegiati con gli agenti delle grandi firme come Gucci o Prada. Ma Tod’s era il suo must: – in tribuna numerata son accanto a Diego... mi chiede spesso come vanno le vendite... sai... sono suo distributore da anni... –

– La blasonata squadra di Diego Del Monte non andava particolarmente bene, ma Riccardo aveva l’abbonamento e quando l’amaranta giocava in casa lui era lì. Poteva spendere quell’ostentazione con i suoi clienti e ciò gli valeva almeno quanto il margine troppo stretto sulle scarpe che non era tantissimo con tutte quelle rimanenze alla fine dell’anno.
Resisteva; non avevano figlioli e non avrebbe saputo cosa fare senza il suo negozio di lusso. L’aveva restaurato alla grande.

– La Sandra ogni tanto glielo rinfacciava: – ... tu c’hai speso un patrimonio Riccardo... oh che ne valeva la pena?... tu hai settantaquattro anni... oh un si poteva fare delle belle crocere e riposarsi... – facendolo incupire.
Non le rispondeva sempre ma ne risentiva, tenendosi il suo nervoso represso. Intuiva che alla lunga lei avesse ragione, ma non sopportava di sentirselo dire. Così la Sandra dopo essersi sfogata, per qualche settimana stava zitta.
L’aveva arredato in stile Art Deco, uno stile glam e opulento, ricercato e caro da morire.

– Un martedì mattina si era visto arrivare proprio il Del Monte; lui era a Prato per altri motivi così gli era venuta la curiosità di vedere l’esercizio commerciale del suo vicino di tribuna.
In effetti lo Scuffi fece un figurone. L’arredamento messo a punto da un mese appena era sfolgorante e di buon gusto: i montanti di ottone ad angoli stondati, i ripiani in spesso vetro, i due specchi antichi, certi elementi decorativi in verde acqua pastello che ricordavano i vecchi cinematografi; tutto l’insieme piacque molto anche allo stilista che lo accompagnava: – ... ma voi mettere la soddisfazione? – si gonfiò con la Sandra.

– Non era uno stupido lo Scuffi; queste cose le sapeva fare, ma il sorriso di soddisfazione gli si spengeva quando si affacciava sul marciapiede. Quel cinese proprio non riusciva a sopportarlo.
Ruì Chen non si era accorto di niente. Quasi ogni giorno, sorridente, salutava il vicino negoziante anche con un accenno di inchino, ricevendone in cambio un mezzo grugnito. D’altra parte, come spiegò un giorno alla signora Sandra, Ruì significa felicità. Non ambiva proprio a tanto, anche lui aveva i suoi problemi ma era abbastanza contento.

– La Massai in Scuffi, accompagnata dai brontolii di disapprovazione del marito, quella volta volle provare i piselli e i fagiolini; a vederli nella cesta non erano proprio brutti. Così si avventurò per la prima volta dentro all’ortofrutta.
La mattina di un tepore già da primavera avanzata era splendente e tersa. Due rondini fischiavano arrivando veloci e quasi in coppia da Piazza del Collegio. La nettezza urbana appena passata con i suoi camiocini rumorosi aveva restituito il giusto decoro alla via Santa Trinita, già di suo una delle vie più ordinate e piacevoli del centro cittadino.

– La Sandra aveva già preso e pagato il suo sacchetto di verdura al magro omino venuto dal lontano oriente quando, già sulla soglia dello stretto negozio le venne di dire: – ... venga anche lei a vedere che belle scarpe abbiamo signor Chen... –
Il signor Chen annuì con le mani giunte: – ... sì signola... vellò... – ma lo disse con un ombra di incertezza. Sicuramente per lui quelli erano oggetti troppo cari, ma non lo disse per riguardo.
– E infatti due giorni dopo si affacciò. Chiese di vedere dei sandali, quelli che aveva erano vecchi e laceri. Ne scelse un paio modesti ma robusti e di buona fattura e la Sandra, che in quel momento era sola in negozio, gli fece un prezzo molto scontato. L’opulenza dell’arredo e il brillìo degli specchi lo aveva fatto sentire subito in soggezione, ma lei lo aveva accolto con semplicità.

– Ruì Chen era già sul marciapiede con la scatola dei sandali quando Riccardo Scuffi entrò in negozio naturalmente notando, in mano al cinese, il sacchetto con il suo logo.
Aveva fatto una pausa per la consueta colazione di mezza mattinata. Era goloso della schiacciata ripiena dello storico bar Magnolfi e raramente ometteva di adempiere a quel rituale. E la Sandra non si risparmiava nel punzecchiarlo : – ... si può sapere quante colazioni tu fai?... guardati la camicia, come la ti tira... – e giù una risatina.
– ... Oh che!... allora fammi morire... piuttosto icchè tu gli hai venduto al cinese?... ma che ha pagato?... –

– Lei non gli rispose neppure. Non l’avrebbe fatto comunque, tantopiù che in quel momento stava entrando un cliente. Più tardi, Riccardo Scuffi stava rimettendo a posto alcune scatole negli splendidi scaffali e aggiustando la vetrina: – ... Sandra... non trovo la destra di questo quarantatre in vetrina... la vedi?... –
– ... no Rik... – era così che lo chiamava nei momenti di intima familiarità. – non la vedo... non c’è... –    - La scarpa, un modello nuovo di Gucci, non si trovava. Venne un cliente accompagnato dalla moglie, così dovettero interrompere la ricerca. Alla chiusura erano ormai sicuri, la scarpa era sparita.

– Quella notte lo Scuffi non si voleva addormentare e non fece dormire: non era tanto il valore in sé del paio di scarpe a bruciargli, quanto lo spregio subito: – ... un ladro... un ladro nel mio negozio. Lo sapevo... lo sapevo... quel... –  
– ... non lo dire eh... non lo dire!... lo so icchè tu pensi... ma ti pare che sia stato il cinese... non ci crederei neanche se lo vedessi... è un brav’uomo... non può essere... falla finita... – ribatteva, pur perplessa anche lei. –... ma poi... icchè ne faranno d’una scarpa sola... boh... –

- Si addormentarono tardi e al mattino, appena arrivati al negozio lo Scuffi prese la scarpa scompagnata e filò subito alla questura. Dal parcheggio in centro fino a Mezzana gli ci volle più di mezz’ora che passò come al solito ascoltando la radio, ma neppure il consueto ascolto del – Ruggito del Coniglio – gli era bastato per distendere i nervi. Fece regolare denuncia al brigadiere il quale, mentre gli veniva mostrata la scarpa orfana, lo aveva guardato con un mezza smorfia divertita; non gli era mai capitato un caso simile.

– In poco tempo la notizia si era diffusa; ne parlavano tutti in via Santa Trinita e lo seppe anche Ruì Chen.
Qualcuno trovò la cosa divertente; il proprietario di una bottega di telefonia poco distante volle fare lo spiritoso e si affacciò alla porta: – ... Riccardo... ma sei sicuro che non sia una nuova moda di Gucci... – ma non fece ridere i due coniugi. Mentre altri esercenti trovarono quel fatto preoccupante.
Chen invece nel pomeriggio, subito alla riapertura, entrò nel magnifico negozio arredato di Art Deco scusandosi: – signor Liccardo, io un’idea ce l’ho... –
– ... che cosa vuole... che idea?... – rispose sospettoso e lievemente scortese il pingue negoziante.

– Raccontò di aver visto passare, a volte, uno strano tipo con una gamba sola. Chen usava uscire spesso per ravversare le sue ceste di verdura fresca messe in mostra su dei cavalletti e aveva buona memoria.
Dubitava di un mendicante con delle vistose stampelle ascellari che transitava di lì per andare alla sua postazione davanti al negozio di – Mattonella – o davanti al portale della chiesa di San Francesco. Da questi ogni tanto si faceva derubare di qualche mela o di qualche arancia a seconda della stagione. Disse che gli faceva pena e che faceva finta di non vedere. Aggiunse che gli sembrava italiano o quantomeno non asiatico o africano e sulla quarantina d’anni.
Non che ne fosse certo, però aveva notato che, stranamente, avesse allungato più volte lo sguardo alla vetrina delle scarpe: – ... non va bene lubale scarpe di tlecento eulo... non va bene... non sono due mele... ma non sono siculo pelò!... –

– I due coniugi rimasero a bocca aperta; lo Scuffi non disse una parola, mentre la moglie, riavutasi anch’essa dalla sorpresa, si affrettò a ringraziare il signor Chen.
La polizia, informata del sospetto, non ci mise molto a rintracciare Gheorghe Costaniniu, un povero diavolo con una gamba sola senza fissa dimora. Gheorghe con la lussuosa scarpa destra allacciata al piede destro era stato colto in flagranza di reato.

– Gli avevano amputato la gamba in Romania all’età di quattordici anni, dopo che un’automobile lo aveva falciato mentre, sul marciapiede, stava andando a scuola. Era arrivato a Prato in cerca di fortuna disse, da otto anni, gli ultimi due dei quali, trascorsi alla – Dogaia –
In carcere dopotutto non si era trovato male, non gli era mancato niente. Adesso passava alcuni periodi nei pressi della stazione centrale ed altri, come recentemente stava facendo, nel centro cittadino. Ma la sua vecchia scarpa era sfondata da tempo e anche una delle stampelle aveva il supporto superiore quasi disfatto.
– ... Rik... lasciamo perdere... è davvero un poveraccio... vuoi essere da meno del signor Chen?... –

– Riccardo Scuffi si fece convincere dalla Sandra, ritirò la denuncia e a Gheorghe Costaniniu che venne poi preso in carico dall’assistenza sociale del comune, lasciò anche la scarpa.
La scarpa sinistra, di vera pelle color tabacco conciata alla perfezione e tomaia morbida e resistente marchiata a fuoco al di sotto con il famoso G di Gucci, la portò a casa sua la sera stessa. La mise in mostra sopra al suo efficiente e moderno camino, di quelli con il vetro davanti. Ogni tanto, riconoscente, le lanciava un’occhiata.

– E alle coppie di amici che venivano nella sua taverna per il burraco, non volle mai spiegare il significato di quella presenza insolita. La Sandra lo sapeva, ma seppe mantenere il segreto.   

                                                                         

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