GOCCIOLINO

GOCCIOLINO – racconto breve -

FOLA 3 

- L’ operazione di bagnatura della pezza in doppia corda, dopo aver controllato che le cuciture fossero state fatte correttamente, era già stata sapientemente ultimata. Roberto, mentre teneva un pezzettino di spago stretto tra i denti, appuntò la prima “chiama” alla pezza con un grosso ago; poi prese l’asta di legno per fissare l’altra chiama alla distanza di un metro.

Era la prima prova di un nuovo articolo di flanella più leggera e soffice e il tecnico era lì in giacca e cravatta per il varo della sua creatura, ma un po’ nervoso. C’era in ballo un grosso ordine per Bidermann e il titolare ci teneva.

Prato aveva il vento in poppa, nel 1981 correva come correvano gli ordini; tuttavia si diceva ci fosse una certa differenza tra un cliente e l’altro; l’importante francese era un pagatore puntuale e non procurava troppe grane per la qualità.

Anche Roberto Ciolini detto Gocciolino era nervoso, ma non tanto per quella prova; lui sapeva il fatto suo, era un follatore esperto e affidabile: – ... il Ciolini gliè una sicurezza... gliè difficile che sbagli... – dicevano di lui negli uffici della Giraldi & Co. Oppure veniva evocato quando c’era un problema di peso o di mano: – ... senti icché ne pensa Gocciolino... –

Quel lavoro era la sua vita. Roberto era follatore per passione, aveva imparato da ragazzo nella fabbrica del Calamai, quella con la facciata imponente di fronte al Bisenzio. Più tardi continuò a fare lo stesso lavoro al lanificio Ciabatti vicino a piazza Ciardi e da lì non si era più mosso.

Nella stessa ditta aveva conosciuto la Livia, che abitava invece dentro le mura. Per anni tutte le mattine, partendo presto da Ponzano, con la sua bicicletta nera a bacchetta aveva continuato ad arrivare puntuale al suo lavoro, dove nel periodo di fidanzamento l’aspettavano i suoi amori, cioè la fola e la Livia.

- Invece quella mattina, appena inforcata la bicicletta gli era tornato in mente quel discorso e la strada che solitamente percorreva con animo leggero, gli parve come in salita. Aveva il cuore stretto di preoccupazione per la moglie che era in cinta di quasi quattro mesi. La sera prima il dottore aveva detto che sarebbe stato meglio fare degli accertamenti.

Adesso, mentre faceva i consueti gesti di preparazione della pezza, la testa gli andava da un’altra parte. Il dottore non solo aveva suggerito di fare quegli accertamenti, ma aveva fatto anche delle supposizioni: – ... oh... magari va tutto bene eh... ma trentanov’anni per fare un figliolo un son pochi... – poi, distante dagli orecchi della moglie, fuori della porta dove il follatore lo aveva accompagnato, aveva aggiunto: – ... io non mi preoccuperei più di tanto Roberto... ha’ visto... d’altra parte se ci fosse un problema... ha’ visto... c’è la legge... tutto regolare... non stare a preoccuparti più di tanto... –

Loro avevano già due figlioli, maschio e femmina, di dodici e di dieci anni; bravi a scuola, obbedienti. Quella gravidanza non era voluta; dicevano che due figli fossero già abbastanza ed effettivamente l’età della Livia, che soffriva anche di glicemia era un po’ avanzata, ma lei, dopo un primo momento di smarrimento si era voltata alla contentezza:

– ... Roberto... e se la fosse davvero il bastone della vecchiaia? eh?... belliiina... mi par di già di vederla... –

Lei avrebbe preso volentieri un’altra femmina, ma disse che le sarebbe andato benone anche un maschietto.

A quel discorso dell’accertamento, la Livia non aveva dato tanto peso; pensò si trattasse quasi d’un ordinario controllo, soffrendo lei da sempre di quei benedetti zuccheri nel sangue. Il riferimento ai suoi anni poteva esser derivato dalla necessità di una cura specifica e di più vitamine.

- La pezza di flanella “Blu notte melange” intanto girava gonfia a dovere, prometteva bene. L’efficace soluzione follante era un po’ cara ma era di prima qualità; su questo Roberto era intransigente.

Un mese prima l’agente della concorrenza gli aveva sibilato a mezza bocca, tra il detto e il non detto, che con il suo prodotto lui potesse rimediare un qualche arrotondamento al suo stipendio: – .. ma no per questa sciocchezza te lo consiglio Roberto... non mi frantendere, ma per la qualità... –

Non ci fu nulla da fare; lui si trovava bene con il suo prodotto della Dye-Fin e poi quel gesto lo aveva un po’ indisposto, non gli era piaciuto.

Roberto era un puro, lo era sempre stato, fin da ragazzo. Anche allora il sereno e giocoso aspirante di Azione Cattolica soleva prendere tutto sul serio, gli orari, gli impegni presi. Arrivato all’età del fidanzamento, lui pur attratto moltissimo dalla Livia, ragazza florida e aggraziata, sapeva bene quale fosse il suo dovere di giovane cattolico, così la prima notte di matrimonio fu per entrambi una meravigliosa scoperta. Onesto in tutto era rimasto onesto anche sul lavoro.

Fecero un primo controllo alle chiame e alla larghezza, così decisero di aumentare leggermente la pressione. Ogni tanto sia il follatore che l’occhialuto tecnico stendevano la mano all’ingresso dei cilindri, sulla pezza via via sempre più gonfia, annuendo: – ... bona, bona... viene bene... –

Roberto prese la caraffa del prodotto per aggiungerne dell’altro sulla pezza che correva all’insù verso i “cilindri”, ma non troppo, non volendola bagnare più del necessario.

Tra un controllo e l’altro, andando tutto regolare, Roberto con la mente tornava sempre lì. Si chiedeva che cosa avrebbero fatto, lui e la sua Livia se messi di fronte ad una brutta realtà come quella che aveva vagamente prospettato il dottore.

- Il tecnico, un lungagnone un po’ curvo dal ciuffo nero e tegoso e dal viso butterato solitamente serioso, tradiva invece la tensione del momento. Le lenti cerchiate da una leggera montatura d’oro gli si appannavano, costringendolo spesso a pulirle con un fazzoletto a quadretti.

Aveva atteso con apprensione con l’antico metro di legno in mano, attento a non farsi macchiare i pantaloni dagli schizzi umidi e sporchi che fuoriuscivano dalla fola.

Era il momento: – ... fermala vai Ciolini... vediamo icchè gli è venuto... – ... aspetta Lastrucci, diamogli i’ gocciolino finale... – suggerì invece Roberto. Era il suo personale accorgimento, quello di dare, quasi alla fine e allentando la pressione della “ciabatta”, un minimo quasi omeopatico supplemento di sapone follante. Quel gesto, lo sapevano tutti, era come un gesto scaramantico anche se non lo voleva ammettere, ed era per questo motivo che lo chiamavano Gocciolino. Lui ci rideva sopra: – noo... macché... gli fa ma bono... per la mano, coglione... –

Dopo un giro o due fermò il vecchio follone di legno toccando il dispositivo d’arresto, e tirò fuori la pezza umida e calda fino a lambire il pavimento. Il Lastrucci misurò le chiame e l’altezza. Sussurrò che la percentuale gli sembrava giusta poi, appoggiata l’asta di legno, prese una cocca della pezza con entrambe le mani. La toccò per qualche istante ad occhi socchiusi roteando delicatamente i pollici, mentre i polpastrelli delle dita sottostanti amorosamente la carezzavano.

Roberto lo guardava con aria interrogativa; poi il tecnico, sollevando e appoggiando gli occhiali sulla testa tegosa, si espresse: - ... Roberto, tu m’ha fatto godere... l’è proprio come la volevo io... morbida, soda, saponosa... l’è viva... tu m’ha fatto godere... –

Rimase male, s’aspettava che anche Roberto sorridesse contento: – ...icche c’è... la un ti piace a te?... –

– ... no, no... la mi piace... la mi piace... gli è un bell’articolo... gli è che che ho un po’ di mal di testa... nulla di che.. –

Dette disposizione di metterla e di farla girare nel purgo in un certo modo. Anche il lavaggio finale sarebbe stato della massima importanza per la mano e per l’aspetto.

- Poi corse a casa. Non che potesse fare qualcosa; la visita specialistica ci sarebbe stata dopo alcuni giorni al “San Giorgio” e poi pensò che non si sarebbe potuto spiegare con la Livia; preferiva risparmiarle l’attesa e il dubbio, ma sentiva di far bene standole vicina.

A volte, in silenzio, benchè rivolto verso il televisore acceso, la seguiva con lo sguardo mentre finiva di preparare la tavola già odorosa di sapori caldi e fumanti. Si era abituato ogni giorno a seguire le varie vicende nazionali e quell’anno erano state molte quelle rilevanti; dall’attentato al papa, gli omicidi delle brigate Rosse, alla lista degli affiliati alla loggia massonica P2, senza parlare del recente Referendum sull’aborto.

Livia non lavorava più, avevano deciso che avrebbe fatto meglio a dedicarsi alla famiglia a tempo pieno; i ragazzi andavano seguiti e Roberto guadagnava benino. Dopo quindici anni, gli sembrava di aver scelto non solo la persona giusta come carattere, ma anche, almeno ai suoi occhi, la più bella di tutte. Agli “specchi” c’era ancora come maestra la Cristina; era una bella donna anche lei, di capelli lunghi e corvini che usava fermare in un alto crocchio, attualmente un po’ ingrassata. La “papessa”, è così che la chiamavano per le sue arie, c’era rimasta male quando il giovane follatore capo le aveva preferito una sua sottoposta; ma poi si era consolata sposandosi con uno di Pistoia. Eppure, era come se le fosse rimasto un conto in sospeso; non perdeva tuttora occasione per fargli qualche discorsino allusivo o di lanciargli di quando in quando certi inusuali sguardi. Gocciolino però faceva finta di niente.

Livia era già di quasi quattro mesi ma non si vedeva ancora un granché. Ci erano già passati, quindi sapeva benissimo che potevano fare all’amore. Era innamoratissimo e lei lo stesso ma, sarà stato il caldo o più facilmente erano quei fastidiosi pensieri ad inibirlo, a Gocciolino non gli saliva facilmente l’abituale passione.

Piuttosto, la sera a letto si limitava ad abbracciarla da dietro, ad accarezzarle la pancia e i seni ora più pieni e turgidi: – ... icchè tu hai Robertino, ti vedo serio... che va male i’ lavoro? eh?... – gli sussurrava lei.

Però le sembrava strano; ora che potevano amarsi senza preoccupazioni, dopo anni di affannate precauzioni, combattuti tra le improbabili raccomandazioni della Chiesa in materia di maternità responsabile e l’uso del condom nelle situazioni più dubbiose, Roberto sembrava come spento.

Livia dava la colpa al lavoro particolarmente impegnativo di quel periodo e al caldo; al sedici di settembre la coda dell’estate si faceva ancora sentire, pesante e afosa. Alla sera, anche con il riscontro e le finestre spalancate la casa quasi bolliva.

Così, mentre la prima luce dell’alba si insinuava tra le persiane illuminando la camera degli sposi raffrescata dalla brezza notturna Livia, che era più mattiniera, si girava dalla sua parte. Sbaciucchiandolo e stuzzicandolo gli diceva piano: – ... oh... svegliati... è quasi l’ora... ma che sarà quella scemina agli specchi de’ Ciabatti eh!... che ti fa confondere... eh!... oh... guardami... –

A Gocciolino quel tepore e quei leggeri baci gli risvegliavano i consueti ardori che gli facevano accantonare i cattivi pensieri e che insieme provvedevano a spengere. A quel punto tra le sgretole arrivavano anche le prime lame di sole; le fole e gli operai lo aspettavano.

- Passarono i giorni e, l’uomo di fiducia del Lastrucci, quello che non sbagliava mai un campione, prese una mattinata libera per accompagnare Livia allo studio medico per l’analisi. Mentre aspettavano il loro turno, gli si affollavano alla mente mille ragionamenti.

Tre mesi avanti c’erano stati i due referendum sull’aborto. Non era stata approvata dalla volontà popolare né l’abrogazione di alcune norme per renderlo più libero, né la speculare abrogazione per renderlo più restrittivo. Agli italiani era piaciuta la legge centonovantaquattro, così com’era uscita dal parlamento.

– ... Dio non voglia eh!... però meno male che c’è quella legge... lo sai che incubo un bambino malformato... non ci voglio neanche pensare... – rimuginava il Ciolini, senza pensare che lui e la moglie avevano votato no al quesito dei radicali e sì a quello dei cattolici. O meglio, se ne ricordava, ma ora che quella legge era stata confermata quasi a furor di popolo, anche lui era portato a pensare che fosse davvero necessaria, almeno per i casi gravi: – ... ma quali saranno i casi gravi?... – si interrogò voltando lo sguardo verso la pancia di sua moglie, la quale però non gli badò affatto, stava sfogliando la rivista “Oggi”.

Poi ricordò anche, quei dibattiti li aveva seguiti, che ci sarebbero stati anche i cosiddetti Consultori; sarebbero serviti per aiutare  le donne a superare le cause che, in certi casi, potessero indurre a pensare all’aborto, anche con aiuti economici. Lui l’aveva capita così e gli sembrava una cosa fatta bene; lo avevano spiegato tante volte.

Due giorni dopo andò al San Giorgio a ritirare i risultati dell’amniocentesi. Il dottore di famiglia che li esaminò il giorno stesso fu abbastanza schietto: – ... Roberto, purtroppo i miei timori non erano infondati... mi dispiace veramente... l’esame accerta al novanta per cento la trisomia ventuno... –

Gocciolino sbiancò: – ... ma... che cos’è dottore... come sarebbe?... – Il dottor Pistelli gli spiegò che si trattava di un’alterazione di cromosomi; in pratica, sospirò: - ... il bambino, che sia maschio o femmina ancora non lo sappiamo, avrebbe la sindrome di Down... –

Finalmente Gocciolino capì. Crollò a sedere guardando nel vuoto: – una mongolina... Dio mio... una mongolina... come farò a dirglielo... – ... comunque Ciolini... l’aborto terapeutico non è niente... in poche ore si torna a casa... non si preoccupi... glielo spieghi alla Livia... non ci sono complicazioni... lo so... dispiace... –

Uscì dallo studio medico come ubriaco, ma andò direttamente in fabbrica. Doveva andarci; il Lastrucci voleva che i campioni li facesse soltanto lui e ce n’era uno urgente.

Aveva il cuore stretto in una morsa, tra il dispiacere di perdere la bambina, sì proprio così la bambina, perché Livia ne era sicura avendola sognata anzi, le aveva già messo il nome, e la prospettiva per quella creatura di una vita intera con una malformazione così grave. Quella malformazione l’avrebbe condannata per sempre ad un’esistenza miserevole e marginale e loro due ad una sofferenza quotidiana.

- ... che c’è Gocciolino?... non ti vedo tanto bene in questi giorni... ti vedo distratto... guarda, questa volta l’impiumatura non è un capolavoro... la flanella è troppo soda... – Il tecnico andò via un po’ scocciato; era abituato a godere di più, quando davanti alla fola c’era il Ciolini.

Alla sera, quando i bambini che già ciondolavano dopo aver visto l’Ape Maia e Candy Candy furono messi a letto, le spiegò con trepidazione quello che le doveva spiegare.

Fu subito pianto; alternava gemiti sommessi al pianto dirotto: – ... la mia Caterina... nooo... la mia bambina... – Ci mise parecchio ma poi si calmò un po’. Singhiozzando, se ne andò a letto.

Quella notte nessuno dei due riuscì a dormire.

Nei giorni seguenti sembrava che Livia, pian piano se ne facesse una ragione; l’intervento, al “Misericordia e Dolce” era stato programmato per il lunedì della settimana successiva, dopo nove giorni.

– ... ciccina, senti... – nell’intimità la chiamava così nei giorni più felici, – ... perché non ne adottiamo una di bambina... eh?... che ne pensi... eh?...così facciamo anche del bene... – Livia si scansò ancor di più, non voleva sentire niente, neppure quei discorsi.

Quel riferimento al “fare del bene” non era buttato lì per caso. In entrambi, ma ancor più in Roberto anche se non lo dava a vedere c’era un pensiero fisso, come se in casa aleggiasse un’atmosfera di rimpianto, un preventivo rimpianto. Sapeva che avrebbero tradito certi valori che un tempo assomigliavano a certezze, a cui si erano appoggiati con convinzione e che ora si sarebbero infranti di fronte al crudele realismo della vita.

Tutti e due, qualche anno prima, a distanza di pochi mesi, avevano fatto l’esperienza dei “Cursillos di Cristianità”, un nuovo movimento cattolico venuto dalle isole Baleari.

Tre giorni densi ed entusiasmanti, durante i quali, in un caldo clima di amicizia avevano riscoperto il valore del loro battesimo. Ne erano usciti con il cuore colmo di gioia, sicuri che non avrebbero più potuto fare a meno di raccontare a tutti la bellezza di quella loro scoperta. L’amicizia con Dio, l’amore per il prossimo, la solidarietà nei confronti degl’ultimi sarebbero stati i pilastri di quella nuova visione del mondo.

Poi con il tempo entrambi si erano un po’ allontanati, non tanto da quei valori rimasti loro molto cari, quanto da certe opportunità loro offerte, utili per fare un ulteriore cammino.

- Fu assolutamente casuale; quella domenica durante la Messa, nel banco davanti capitò una famigliola composta da due figlioline accompagnate dai genitori una delle quali, la più piccola di circa sei anni, aveva riconoscibile la sindrome di Down.

A Livia le cascarono le braccia, avrebbe voluto scappare ma non osò, e anche Roberto era inquieto.

Fu tutto un susseguirsi di forti emozioni. Quella bambina, bellissima nonostante i lievi segni della sindrome, si girò più volte indietro guardando soprattutto Livia, sorridendo continuamente e tendendo la mano per toccare i lacci della sua borsa.

I suoi genitori, ancor giovani, si scusarono sottovoce per il disturbo arrecato, ma i loro sguardi non erano troppo dispiaciuti ed erano luminosi; guardavano compiaciuti le due bambine vestite a festa e sembravano felici.

Livia non si sentì di fare la Comunione, non era in pace con se stessa, perché tra qualche giorno avrebbe abbandonato la propria creatura. Roberto invece se ne accostò. Le avrebbe spiegato più tardi che considerava l’Eucarestia come medicina per i malati, non per i sani. In proposito aveva letto un libro di un popolare predicatore e teologo.

All’uscita, sul sagrato della chiesa, la bambina che come seppero dopo si chiamava Gianna, inaspettatamente si gettò nelle braccia della donna e le schioccò un bacio umido sulla guancia.

I due si scusarono di nuovo. – ... no, no, per carità... è così cara... –

Roberto e Livia i cui volti ombreggiati tradivano poca voglia di chiaccherare fecero per affrettare il passo ma, dovendo fare un tratto di viale insieme fino al parcheggio, fu inevitabile scambiare qualche parola con i due giovani genitori. I quattro figlioli intanto, senza mettere tempo in mezzo stavano già legando tra di loro, volteggiando intorno e correndo.

– ... ma lei è il Ciolini, il capo della Giraldi & Co... se non mi sbaglio... – ... sì, sono io... e lei chi è?... – non si ricorda?... sono il chimico della Dye-Fin, la ditta fornitrice del follante... – ... sì, mi scusi... non ho tanta memoria fotografica... –

Nel frattempo anche Livia stava scambiando qualche parola con quella mamma che si chiamava Antonia. Seppe che Gianna non fosse loro figlia naturale, ma adottata.

– ... adottata?... ma... mi scusi... non... – ... non si preoccupi... capisco quello che vuol dire... anche i nostri parenti sono rimasti... diciamo, perplessi... – Aggiunse in breve che l’avevano presa nata da pochi giorni.

Si salutarono affabilmente ma, appena saliti in macchina Livia, appena fu sicura di non essere vista da nessuno, cominciò a piangere silenziosamente.

Roberto non disse nulla; capiva benissimo che cosa le stringeva il cuore. Si limitò a sfiorarle la mano e poi ad accarezzarle il ginocchio; spesso erano sufficienti gesti semplici per capirsi.

Livia trascorse tra continui sobbalzi umorali e crisi di sconforto quella settimana.

- Roberto si rifugiò nel lavoro; senza rendersene conto tendeva a fare molte ore e tornare tardi a casa sperando di trovare la moglie già a letto; si doleva di doverla guardare negli occhi.

D’altra parte c’erano molte pezze campioni da rifinire. La collezione era andata bene, aldilà delle più rosee previsioni, non soltando per gli uniti che, da sempre erano il punto di forza del lanificio, ma per la prima volta da anni in modo così massiccio, per i tinti in filo.

A Premiere Vision appena terminata, erano piaciute le giacche a fili doppi ad imitazione del lambswool biellese, fatte con lo stesso nuovo filato della flanella più fine.

Però si stava presentando una problematica seria. Le relative miste, economiche perché di lana rigenerata e fatte con colori “in natura” contenevano spesso una parte poco solida. Durante la follatura “scaricavano” e le fantasie si sporcavano diventando impresentabili. Era un vero problema anzi, dopo le prime pezze rovinate il problema diventò un vero dramma.

Il titolare andò su tutte le furie e se la rifece con il disegnatore il quale ributtò la colpa al tecnico responsabile degli acquisti.

Venne fuori che le due varianti per fare le “bandiere” erano, la prima fatta da una combinazione di bianco e nero, dove il nero era stato ottenuto tingendo uno “stame” rossino chiaro e comunque appena decolorato in vasca prima della tintura; la seconda variante, molto raffinata, era formata da un beige chiaro e da un cammello medio evidentemente abbastanza solidi. Nessuno capì bene perché i “fazzoletti” per ottenere lo sviluppo delle fantasie non avessero “scaricato” se non in misura minima.

– ... e ora icché si fa?... puttana miseria!... che figura di m... – Il furibondo Piero Giraldi non si teneva, faceva il fumo dagl’occhi.

- Gocciolino si ricordò allora del giovane chimico della Dye-Fin, incontrato appena tre giorni avanti in chiesa. Gli telefonò esponendogli la questione poi, pieno di speranza avendo sentito da lui di un innovativo prodotto, lo raggiunse al suo magazzino in via Galcianese. Quel chimico aveva anche qualche idea abbastanza chiara riguardo ai processi di nobilitazione.

In primo luogo sarebbe stato necessario lavorare quella qualità in un moderno Purgo-Fola di cui la rifinizione interna del lanificio non disponeva. In tale macchina un pre-lavaggio fatto a fondo avrebbe preceduto la fase di follatura, durante la quale quel nuovo prodotto “ferma-colore”, da dare insieme al prodotto follante si sarebbe dimostrato determinante.

Fu la salvezza. Quella combinazione di più accorgimenti riuscì ad ottenere il risultato desiderato.

Due giorni dopo il “dies irae” il temporale e i fulmini erano quasi cessati: – ... Gocciolinooo... tu m’hai salvato la vita... – Il Lastrucci passò dall’inferno al paradiso, o meglio al purgatorio; sì perché non la passò completamente liscia; gli ci volle del tempo per rientrare nelle grazie del titolare.

In quei due giorni il Ciolini ebbe modo di parlare spesso con Massimo, il chimico che si era dimostrato così provvidenziale e una volta il discorso cadde anche sulla bambina con la sindrome di Down.

Una cosa che Gocciolino non sapeva era che Gianna quando era stata adottata si trovava in un brefotrofio privato che raccoglieva neonati abbandonati, oppure neonati la cui mamma, per una ragione o per l’altra non si sentiva o non poteva tenere il bambino.

Questo istituto del nord che solitamente navigava in cattive acque, recentemente era stato finanziato dal Movimento per la Vita: – ... è nato un anno fa questo movimento... – fece Massimo per rispondere all’espressione interrogativa del follatore. – anch’io e Antonia collaboriamo con loro... sai, è un modo per ringraziare il Signore per il dono delle nostre bambine... sì... anche per Gianna... lei è un dono speciale... –

Poi, vedendolo così attento, continuò: – ... leggemmo sul giornale del ritrovamento di una bambina appena nata in un cassonetto a Brescia. Lì Antonia ha una zia che, sentita per telefono aggiunse che si trattava di una bambina affetta da sindrome di Down... ha un cognato in quell’ospedale dove l’avevano ricoverata... –

Disse poi che loro da tempo volevano adottare un bambino ma non si decidevano. Ma la stessa sera, precisò, avendo sentito quel particolare si erano emozionati.

Per ore ed ore lui e Antonia quella notte parlarono a lungo: – ... ci sembrò come se la Provvidenza ci avesse mandato un messaggio... sì era proprio un messaggio d’amore... –

Due giorni dopo erano in viaggio. La bambina era sana ed era già stata trasferita nel brefotrofio.

– ... fu davvero amore a prima vista... un’infermiera le aveva messo nome Gianna... –

- Lui e Livia anche quella notte non riuscirono a dormire o quasi. Si addormentarono alle prime luci dell’alba dopo aver fatto all’amore.

Il loro cuore traboccava di gioia. Più tardi avrebbero telefonato al “Misericordia e Dolce” per annullare l’intervento abortivo. Aveva vinto la vita.

fine

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