IL CONSULENTE IN CINA

IL CONSULENTE IN CINA

 PAGODA

– Ivo era amareggiato per ciò che gli aveva detto il “coglioncino”, ma tant’è, adesso doveva dimenticarselo; “quello” non avrebbe avuto il merito di rovinargli la serata.

Si era messo accanto a Martina, una brunetta di 43 anni con gli occhi verdi. Aveva fatto in modo da prendere posto accanto a lei: – ... che dici, come si mangerà qui? – ... boh, io un son tanto esperta “di cinese”... cioè... ci andai una volta anni fa con la vecchia ditta e non ci son più tornata... ci rimasi quasi secca... tutta la notte a camminare in su e in giù per digerire quella dannata anatra alla pechinese... – ... ah, ah... oh che era ancora viva quell’anatra?... – boooh... so solo che patii tanto..–

Il ristorante Hong Li era carino. – Come arredamento mi sembra comodo e sobrio, un ti pare?... non ci sono quelle pacchianerie che ho trovato l’ultima volta in via Pistoiese. – Che tipo di pacchianerie? – chiese la ragazza, la quale trascurando la sua collega d’ufficio seduta accanto, mostrava di trovarsi a suo agio a fare due chiacchiere con il tecnico della ditta.

Le raccontò che in quel posto le poltroncine fossero tutte rivestite e legate con ampi lacci da una stoffa bianca di simil-seta. – ... si sembrava a un matrimonio... – ... scusa ma te sei sposato? – quella domanda non se l’aspettava; si impappinò un poco – ... chi, io? Sì... cioè, no... sono separato... – Martina rise. – scusa ancora... sai, per associazione d’idee... ti ho interrotto. – sì, dicevo... tutti quei dettagli... i draghi di terracotta all’ingresso, aggeggi portafortuna tutti rossi, le tende con gli ideogrammi rossi... l’è la su’ cultura lo so... ma mi sembravan tanto di cattivo gusto. – ... quelli son belli però... – interloquì la brunetta indicando certi sobri acquarelli appesi proprio davanti a loro... – ... sì, quelli son belli. –

Mentre lei parlava con la sua amica, si voltò un attimo per osservarla; in fabbrica non aveva avuto ancora modo di studiarla un po’; tutto il giorno di “furia” come un forsennato. Lei aveva ancora una pelle molto bella; gli orecchini di giada le mettevano in risalto il lungo collo e i perfetti lobi rosei; pensò che gli sarebbe piaciuto mordicchiarne uno.

Alla sinistra di Ivo si era intanto “accomodato” il ragioniere. Il ragionier Corradini era un uomo pacioso dai capelli rossi che in ufficio aveva un compito di scarsa importanza. Era anche simpatico a parlarci ma la gente alle cene preferiva starne distante. Sembrava che soffrisse di aereofagia ma lui, o non se ne rendeva conto o faceva finta di non avere quel problema.

In tutti casi si era messo lì accanto a Ivo il quale, in ditta, era uno dei pochi per cui provava simpatia; e poi erano entrambi sfegatati milanisti. Ivo però era un po’ imbarazzato, non tanto per sé, tra l’altro quella sera era anche raffreddato e non correva troppi rischi, quanto per lei; nel caso, che cosa ne avrebbe pensato “occhi verdi”?

Non ebbe modo di saperlo. Alla fine della cena non c’erano stati segni di alcuna anomalia di comportamento nella donna. Convenirono entrambi che la scelta del ristorante di Campi Bisenzio, soprattutto per la qualità dei piatti fosse stata azzeccata.

– Strano che siamo venuti fino a Campi però... con tutti ristoranti cinesi che abbiamo a Prato... – chiosò Martina proprio mentre si stavano alzando da tavola. – ... sì è vero ... – pensò Ivo.

Certi pratesi quando decidevano di mangiare cinese, la cucina cinese al netto dei sospetti problemi d’igiene piaceva a molti, si spostavano dalla città.

– Forse, l’affidarsi a qualcuno della chinatown per rilassarsi una sera a cena, magari soltanto psicologicamente suonava un’incongruenza. Chi percorreva più o meno spesso via Filzi o via Pistoiese, si sentiva innervosire piuttosto che rilassare. Erano troppe le irregolarità, gli abusi, il ricorso alla clandestinità di cui si sentiva dire, per non parlare proprio del disordine di quelle strade, dei rifiuti lasciati dappertutto, della sciatteria di certi negozi dai vetri sporchi di quelle desolanti vetrine.

I lavori stradali che il comune stava intraprendendo per dare maggior decoro al quartiere non trovavano il consenso di nessuno dei suoi abitanti ai quali non importava altro che lo spazio dei parcheggi.

Ad Ivo, che stava appunto percorrendo quella zona per tornare a casa, stava riaffiorando, al ritmo lento e ipnotico dei tergicristalli azionati per le prime gocce forse di un temporale, tutto il cattivo umore masticato all’andata.

Per fortuna che alla cena si era messo accanto alla nuova commerciale per la Germania; tra il “coglioncino” che dall’altra parte della tavolata, mentre faceva il brillante con gli altri gli aveva lanciato qualche occhiata, insieme torba e soddisfatta, e il resto delle conversazioni “da urlo”, ci sarebbe stato da spararsi. Nel tardo pomeriggio c’era stata la discussione che l’aveva messo in crisi.

Fece una doccia bollente, quasi a scrollarsi di dosso quell’amarezza e andò a letto subito. Lesse solo qualche riga del libro che aveva avviato: “I quarantanove racconti” di Hemingway, ma nell’addormentarsi rimase nella vaghezza di quella trama.

Harry, con una gamba in cancrena e la sua ricca moglie erano rimasti in panne nella foresta ai piedi del Kilimangiaro in attesa di aiuti che non arrivavano. Harry aveva sprecato la sua vita e il suo talento di scrittore recitando una parte ed ora stava vomitando su quella donna, anche lui, la sua profonda amarezza.

– Al mattino dopo, ripensadoci, si dette di bischero. Si prospettava una bellissima giornata di luce limpida guadagnata con quel temporale notturno e lui non aveva nulla da spartire con il povero Harry.

– ... io gli vo in culo a quello lì... “il coglioncino” m’ha belle e rotto... ora gli fo vedere io... –

Era arrivato in fabbrica in bicicletta, percorrendo la ciclabile lungo il Bisenzio, anche per scacciare quel denso malumore che gli camminava ancora, nonostante i proclami fatti, sulla pelle. Era ancora incazzato ma non voleva darlo a vedere. Ivo nutriva per il figliolo del vecchio Bartolini, gran cervello ma ormai fuori uso purtroppo, un sottile disprezzo. Non di rado, quando lo incrociava per i corridoi, gli veniva uno sgradevole pizzicore, e in questi casi non in senso metaforico, ai bracci e al collo. La stessa cosa gli succedeva in occasione di certi moti di disappunto o per altre improvvise spiacevolezze.

L’aveva visto crescere ma “quello” si era permesso da tempo di fare il sapiente imprenditore e lo stilista con lui. E adesso anche il benservito; era troppo.

Guardava fuori dalla porta a vetri che dava sulla “declassata”, pensando che non doveva avere fretta.

Separato dalla moglie da due anni, per noia, come amava dire lui, Ivo si stava avvicinando alla boa dei sessant’anni, gliene mancavano solo due. Erano sì ben portati, alto, con i capelli quasi tutti neri, piaceva ancora a qualche tardona; ma quando la consapevolezza di non essere più un giovincello gli ritornava alla mente gli montava quel fastidioso prurito.

Il babbo Fiorenzo morto da un anno non era nato operaio ma contadino, come la maggior parte della popolazione di allora, nella corte del Cerbai in zona Ponzano, dalle parti di Mezzana. Lui era stato garzatore-cimatore quasi per passione, di quelli bravi dicevano, nella fabbrica del Pecci, mentre questa si trovava ancora in via Valentini. Mamma Dora invece rammendava in casa, contribuendo al raggiungimento di un tenore familiare più che decoroso.

Ivo, che era nato quando la famiglia si era già trasferita a Narnali proprio accanto alla chiesa, bazzicando da ragazzo il circolo ARCI di quel paese, incrociò Francesco Nuti che di quel circolo era quasi frequentatore e quel film: “Madonna che silenzio c’è stasera”, ri-visto da lui almeno quattro-cinque volte, lo faceva “schiantare dal ridere”. “Puppe a pera” diventò la sua colonna sonora di quel periodo.

Nuti aveva fatto il “Buzzi” e quel fatto, insieme all’opinione favorevole del suo babbo che lo spingeva a studiare come “tennico”, contribuì, quando venne il momento di prendere una decisione, alla scelta della stessa scuola. Fece quella scuola con passione; nell’ingresso, dopo il pesante portone di ferro, vi era allocato il busto bronzeo del professor Tullio Buzzi, fondatore nel 1886 del “Regio Istituto Nazionale di Chimica Tintoria e Tessitura”. Ogni mattina, passandogli davanti, gli veniva di salutarlo con un cenno del capo. Egli dunque, partito da piazza Ciardi, era arrivato adesso all’anno 2022 potendo considerarsi un prodotto pratese tra i più riusciti dal punto di vista professionale.

– Il figliolo del Bartolini, non potendo mascherare la sua arroganza, si espresse senza tanti preamboli. Gli rinfacciò di aver fatto di nuovo una collezione troppo cara per la loro clientela e non compensata dal contenuto: i colori erano troppo maschili e i disegni, diceva il “coglioncino”, non emozionavano.

– tu lo sai bene Ivo... i tempi sono diffcili... anzi no, difficilissimi... ergo... visto che le tue collezioni non sono quel valore aggiunto tale... anzi Ivo, mi sa che hai perso il tuo vecchio smalto... questo devi ammetterlo, no?... che ci può salvare da una situazione così... –

Anche l’amministratore socio di minoranza, un meridionale laureato, un grassoccio con i capelli untuosi, sibilava da tempo che la ditta non si potesse permettere a cuor leggero uno stipendio come il suo: – Prima il duro periodo del Covid... ci ha messo davvero tutti in ginocchio.... il 2021 invece non sarebbe andato male come ordini... ma il ricavato è stato uno strazio... lo sai, no?... adesso, che il lavoro ci sarebbe... è un casino... non si può consegnare, i costi stanno saltando tutti e ora con quell’incredibile guerra russo-ucraina non si sa dove si va a finire. –

Lui, dal suo punto di vista aveva anche qualche ragione da sostenere, ma la cosa che faceva schiattare di rabbia Ivo era piuttosto il tono e le ipocrite motivazioni apportate da “quell’altro”.

Da quando l’ictus del babbo lo aveva portato a prendere il comando, tra loro era stata guerra aperta. Ivo era dirigente e poteva essere messo alla porta in qualunque momento. Il coglioncino, magnanimo, aveva concluso che gli avrebbe concesso tre o quattro mesi pagati. – Così passerai le consegne... ma se poi hai bisogno... Ivo, noi siamo qui. – aveva concluso andandosene via impettito.

– Fuori, vicino a quella porta a vetri da cui si accedeva al suo ufficio c’era una bella palma di trent’anni che sembrava suggerire assolate vacanze, magari alle Maldive. Era solo senza figlioli e con la sua liquidazione se lo sarebbe potuto permettere. Invece no, non ci pensava neppure: – ... porca puttana... gli fo vedere io... se t’ha bisogno... se t'ha bisogno... da lui... figuriamoci... –

Da un’oretta rifletteva a quell’incontro certamente casuale fatto a Premiere Vision, camminando e curiosando tra gli stand del salone sei. Pierino Rosati si era avvicinato molto cordiale e quasi affettuoso, quando lo aveva visto passare davanti al suo stand; d’altra parte Ivo lo aveva seguito nella sua maturazione quasi come un figliolo, durante i suoi dodici anni alla Balli & Rosati.

“..Sai Ivo, in Cina... lo so eh, che non hai troppo simpatia per i cinesi... cercano un consulente per fare la collezione, ti interessa? Loro sono indietro come il cucco come gusto e ricerca, non avresti problemi con la tua esperienza; l’ho vista, hanno i prezzi ma fanno una collezione che fa pena…”

L’aveva ringraziato, dicendogli che ci avrebbe pensato, ma dentro di sè aveva già accantonato l’idea. Avrebbe dovuto andare in Cina, che era un posto che non lo attirava. Ne sapeva qualcosa, già ci andavano diversi pratesi; la sera a Shangaji agli angoli delle strade della parte vecchia, a quanto pareva, se uno stava attento, sentiva l’eco della parlata becera e pungente dei pratesi.

E poi era un abitudinario; rinunciare anche per alcuni giorni al mese al giro dei suoi amici, molti dei quali separati o divorziati come lui, al suo percorso settimanale in bicicletta da corsa per monti e valli con Guido, no, non se la sentiva. E poi dal Bartolini, anche se non era il massimo, infatti aveva conosciuto soddifazioni migliori alla Balli & Rosati come professionista disegnatore, non ci stava male, e la retribuzione era ragguardevole.

– Invece quella mattina stessa, dopo aver contemplato bene bene la palma, gli telefonò: “Pierino mi puoi spiegare un po’ meglio di cosa si tratta? Quando posso venire da te?”

Con i cinesi si era trovato d’accordo facilmente tramite e-mail all’inizio, poi con Skype e whatsapp. Era stato molto pratico e veloce. Evidentemente, avevano buone referenze e un bisogno urgente di una persona esperta per lo sviluppo della loro collezione di tessuti Jacquard.

Avrebbe lavorato prevalentemente con il CAD ArahWeave che Ivo maneggiava benissimo, ma era necessario che andasse a Shaoxing, nello Zhejiang, almeno due volte nella prima stagione, ma una volta sola per quelle successive. Il contratto, non esclusivo, inizialmente sarebbe valso per due stagioni, rinnovabili e con un’ottima remunerazione.

Era finalmente diventato un “Consulente”. La figura del consulente a Prato non designava semplicemente colui che forniva la propria consulenza in qualche materia di lavoro.

Esser consulente, per antonomasia, voleva dire esser tecnico disegnatore affermato e d’esperienza il quale, proprio come un rabdomante della moda, avendo quel fiuto che non a tutti è dato, e avendo le giuste informazioni, o quantomeno dando la sensazione di avere entrambe quelle doti, forniva sapientemente il giusto orientamento per la nuova collezione, a cominciare dalle qualità, dai disegni e dai colori; egli, come un “brand” di successo, veniva guardato con rispetto e ammirazione da tutti.

–... ecco... – si disse Ivo con un sorrisino ironico: – ... ora io sono un Consulente... per la Cina. –

– Otto giorni dopo era sull’aereo. Nell’attesa, naturalmente, si era informato in che razza di posto fosse la “Zhejiang HirokiMa Jacquard Weaving Co.”

Quella città, Shaoxing, di cui non aveva mai sentito parlare, era una metropoli di quasi 5 milioni di abitanti, a 200 chilometri da Shangaji e circa da 300 chilometri da Wenzhou, la città da cui provenivano i cinesi di Prato.

Su internet aveva visto che nella stessa regione, ci sarebbero stati anche alcuni posti interessanti da visitare. I dintorni di Hangzhou, per esempio, città distante appena 70 chilometri, dovevano essere molto belli; quei suoi laghi incantati, quei paesaggi, diceva la pubblicità, erano mete turistiche di grande fascino e richiamo. Pensò che, se la cosa fosse andata avanti, una volta o l’altra gli sarebbe piaciuto visitarli, chissà, forse in compagnia.

Arrivato all’aereoporto di Hangzhou Xiaoshan, fu portato subito negli uffici dell’azienda. Durante il primo colloquio de visu si trovò spesso in imbarazzo; l’inglese apparentemente sicuro di Kumico e di Brigitte, due sorridenti manager dagli occhi a mandorla era un po’ difficile da capire, lo era stato anche attraverso Skype, ma lì c’era la scappatoia di poter scrivere in caso di incertezza. Tuttavia fece del suo meglio.

Il fabbricato, grande e moderno, si trovava nel distretto tessile di Keqiao. Seppe che fosse il distretto tessile più grande del mondo. – cavolo... altro che macrolotto... però è assurdo, sono arrivato a questa età e non lo sapevo ancora... credevo che Prato fosse l’ombelico del mondo –

Sebbene il pratese fosse poco portato ad apprezzare le bellezze orientali, riconobbe che Kumico, nome molto popolare in Cina il cui significato è “bambina dalla grazia eterna”, fosse davvero carina.

– A Prato, intanto, il figliolo del Bartolini era rimasto come “un fico secco”, non si aspettava un esito così veloce. E non si sentì poi così sollevato senza il vecchio Ivo, come presagiva di sentirsi. Gli vennero dei dubbi, ma ormai era cosa fatta. Non potè opporsi più di tanto al fatto che il tecnico non avrebbe potuto lasciare le consegne al suo successore poiché questi non era stato ancora trovato. Si rese conto che non sarebbe stato tanto facile sostituirlo e a un costo di molto inferiore come era nelle aspettative. Dopo qualche giorno se la prese con l’amministratore che lo aveva spinto a quel passo.

Martina seppe di quel nervosismo e, sapendo di farlo godere, inviò a Ivo una colorita mail per raccontarglielo. Loro, prima della partenza si erano rivisti altre due volte. Avevano parlato molto e si erano guardati negli occhi. Quel flusso di forte simpatia, che aveva prodotto soltanto qualche bacio sulle guance al momento dei saluti era vivo, e superava in quei giorni monti e deserti. La commerciale dagli occhi verdi era divorziata ed aveva Susy, una bellissima bambina.

– L’impatto con i due tecnici della produzione, sul momento non apparve semplice; uno di loro sapeva poco l’inglese, oltretutto storpiato da quella pronuncia, l’altro appena di più. Ivo non si scoraggiò e riuscì a ricacciare il prurito che gli stava montando. Fece in modo, pian piano, che si creasse un clima di empatia e di collaborazione, sfoderando sorrisi e leggere pacche sulle spalle.

Al netto di qualche momento di imbarazzo reciproco, esprimeva e intuiva bene il senso del discorso; d’altra parte i filati, i colori, le titolazioni e il resto erano materia a lui familiare. Fu abbastanza faticoso ma alla fine se la cavò.

Il Consulente buttò giù le sue proposte di colore e di qualità con professionale sicurezza attaccandole alla parete, non mancando di fare qualche osservazione riguardo alla loro produzione storica.

L’albergo dove era alloggiato era pulito ma anonimo. Per colazione, a parte il caffè e il thé, gli vennero serviti sapori che non conosceva. Anche a cena rimpianse il ristorante di Campi Bisenzio che in teoria, pensò, avrebbe dovuto assomigliargli in quanto al cibo. Dopo cena fece un giro a piedi per il quartiere, anch’esso anonimo, con il bavero del giubbotto tirato in su; per essere di fine aprile l’aria era freddina e anche molto umida.

Il giorno seguente Kumico e Brigitte lo portarono a cena nel vecchio centro della città. C’era anche il marito di Brigitte, un educato dirigente di un’azienda di logistica.

Ivo vide che la città era attraversata da molti corsi d’acqua. Seppe che tutta la provincia dello Zhejiang, che vuol dire appunto “fiume Zhe”, era ricchissima d’acque e di canali.

Gli spiegarono anche che Shaoxing fosse la città di Lu Xun e che molti posti e musei ricordavano quello che era stato il più famoso scrittore e poeta dell’intera Cina. Ivo non osò dire che fosse la prima volta che ne sentiva parlare.

Dopo un’ottima cena, pensò che quel posto fosse finalmente da mettere al livello del ristorante di Campi, salirono sulla “Dashan Pagoda” da cui si poteva vedere, by night, l’intero panorama della città.

Dopo due giorni cominciava ad avere dimestichezza con l’ambiente. Sembrava che andasse tutto bene, quando successe un fatto clamoroso.

– Il covid aveva fatto di nuovo il suo ingresso in Shaoxing e in altre zone limitrofe e le autorità sanitatrie, quasi “alla zitta” avevano predisposto un rigido cordone sanitario. La risposta del governo cinese paladino della strategia "zero contagi " contro il Covid variante Omicron, come spiegò un’affranta Kumico, era sempre la stessa: chiudere, testare, isolare. Il nuovo focolaio scoppiato rischiava di dare un pesante contraccolpo al fatturato anche della Zhejiang HirokiMa Jacquard Weaving. Era un disastro.

– ...mister Ivo, mi dispiace molto... corra via subito, farà il lavoro da casa, forse l’aereoporto è angora agibile... –

Non ci fu niente da fare, perfino i taxi erano stati tutti bloccati dalla polizia locale. In questi casi, anche se i numeri dei contagiati potevano apparire ridicoli in Europa, le aziende avevano l’ordine di sospendere la produzione per prevenire la corsa del contagio. Raduni e spostamenti erano vietati. Già nell’ultimo dicembre, in questa stessa regione, mezzo milione di persone erano state messe sotto osservazione, molti negozi chiusi, voli cancellati.

Ivo non poteva neppure tornare in albergo. Gli improvvisarono una camera e un bagno all’interno dell’azienda: – ... sono veramente nella merda... ma guarda in che situazione mi trovo... –

Dopo il primo moto di sconforto, Ivo pensò di approfittarne per finir bene e con calma l’impostazione del suo lavoro.

Le loro eccellenze, oltre al prezzo, erano i tessuti per abiti e giacche, prevalentemente da donna, in poliestere multibava in titoli finissimi, un poliestere morbido e performante. Ma le loro collezioni passate, effettivamente, mancavano di creatività e ciò, la creatività e la fantasia, purché non fossero espressioni di voli pindarici, ma valori legati al mercato, erano quello che Ivo era venuto a portare.

Una volta finita la parte pratica iniziale, filati, bandiere di qualità, chiarimenti, non potendo fuggire da quella prigione cominciò a disegnare con il suo prezioso CAD, come fosse stato a casa sua.

– Questa parte del lavoro, non sarebbe neanche un lavoro... – pensava, – ... è un godimento... dovrei pagare io... sì, sì, sì... dovrei pagare io... – Ogni tanto, tra sé mugolava qualcosa. “Tu hai le puppe a pera” era ancora il suo must preferito, insieme a certe reminiscenze canore degli anni ’80, i suoi anni ruggenti.

Martina per consolarlo, via web, dopo qualche giorno gli aveva scritto: – ... dopo codesta over dose di Cina ci pensi a come riuscirai ad apprezzare di più la vecchia Prato al tuo ritorno?... spero che potrai apprezzare meglio anche qualche matura pratese... come me per esempio... – ... io apprezzo già molte cose di te, specialmente il tuo lobo sinistro, cara mia commerciale per la Germania dagli occhi verdi e, a parte gli scherzi... mi vieni in mente davvero molto spesso... –

In altri momenti, più malinconici, ripensò a come aveva sprecato la sua vita fino a quel momento, non come professionista, ma come uomo. Non ce l’aveva con la moglie separata; lei non si era nascosta, era in quel modo anche prima, ma aveva fatto finta di non vedere. Non aveva mai voluto avere figli, desiderava le compagnie di persone brillanti, forse per riempire il vuoto con il brusio delle chiacchiere. Poi, con il tempo, non molto, venendo meno l’attrazione fisica, del loro matrimonio non era rimasto quasi nulla. Non aveva reagito, aveva lasciato che molti altri anni trascorressero nell’inedia, punteggiata solo dalle sporadiche e reciproche corna che ognuno di loro fingeva serenamente di ignorare.

– Una sera sul tardi era ancora immerso nel lavoro chino sul computer, tanto più che la televisione cinese faceva dei programmi che facevano schifo oltre che incomprensibili per la lingua, quando sentì bussare alla porta della sua camera-ufficio. Era un’ora inconsueta per le visite di lavoro.

– ... scusi tanto signor Ivo... sa... mi sento un po’ in colpa... chiuso in questa fabbrica come fosse colpevole di chissà che... anche se anch’io non c’entro nulla per la verità... mi chiedevo se... –

Era Kumico. Sorrideva imbarazzata. Si rendeva conto che quelle parole non riuscivano a giustificare la sua visita a quell’ora. Forse giocava a carte scoperte o forse era un’ingenua. O forse tutte e due le cose. Naturalmente la fece entrare.

Lei, intelligente e volitiva manager trentanovenne e, pur osservata con parametri europei, anche bella, disponeva normalmente di un suo appartamentino di servizio nella fabbrica.

Da giorni era incerta; l’italiano, anche se molto più maturo di lei le piaceva, ma lui non aveva mai fatto un gesto o detto una parola che le potesse far intravedere un qualche suo interesse. La donna era buddista di famiglia, ma da tempo in Cina la religione aveva scarsa presa sulla gente, in particolare con le persone più emancipate. Il Dio venerato da tutti in realtà era il dio Yen che non era né un dio comunista, né proprio capitalista. Il presidente Xi Jinping stava facendone un culto popolare. In tutti i casi poi, l’etica sessuale buddista, come in altri campi, cercava di seguire sempre una via di mezzo. Né troppa rigidità, né troppo lassismo: – L’importante è esprimere se stessi con moderazione. – era la sintesi più frequente.

Kumico si era confidata con la dolce Brigitte, la sua collaboratrice e amica alla quale aveva detto di sentire quell’attrazione per l’italiano. Il suo dubbio maggiore era se, nel caso, una relazione avesse potuto compromettere la loro importante collaborazione. Ma quella sera si era decisa.

Si accomodarono su due divanetti separati da un tavolino di legno. Riprese l’incerto discorso: – ... mi chiedevo appunto... sicuramente si annoierà signor Ivo... così... le ho portato dei nuovi film in inglese... sono in questa chiavetta... certo è un po’ tardi... – ... no, no, si figuri... macchè tardi... –

Ivo la levò d’impaccio con la sua cordialità. Prese due bicchieri e la bottiglia di Bourbon e li mise sul tavolo. Le dette una sapiente occhiata senza parere; lei era veramente graziosa. Aveva le unghie lunghe laccate di rosa chiaro e i jeans elasticizzati e attillati mostravano in tutta evidenza le sue attraenti sinuosità. Stava decidendo come impostare la conversazione.

– Da giorni non faceva che pensare a Martina. Il diverso fuso orario, le sei ore di differenza, non impedivano loro di scriversi spesso. Si erano telefonati invece soltanto due volte. La scrittura favoriva di più lo scavare dei sentimenti, la profondità del linguaggio, la riflessione. Intuivano entrambi che la loro vita poteva essere a una svolta. Capivano tutti e due la bellezza, l’autenticità del loro incontro. Si stavano innamorando l’uno dell’altra, a 14mila chilometri di distanza.

Ivo, assorto in quei pensieri non si accorse che la donna, perplessa, lo stava osservando.

– ... scusa, scusa... lo vuoi un altro po’ di Bourbon... oppure preferisci il whisky... ce l’ho sai... la tua Brigitte è bravissima, non ha trascurato nulla. Mi ero assentato per un momento... sai, con la testa... d’un tratto mi sono ricordato che dovrei telefonare alla mia mamma... la trascuro... lei è rimasta vedova da un anno... ma dimmi... i tuoi genitori dove abitano? Sono qui a Shaoxing?... –

Kumico lo guardava meravigliata, mentre lui imperterrito continuava in quella surreale inchiesta sulla vita di una manager cinese che stringeva in mano ancora quella chiavetta dei film.

– ... e dove hai fatto l’università, qui o a Shangaji?... o a Hangzhou?... pensavo che un giorno, magari quando ritornerò... sai quei laghi nei dintorni di Hangzhou?... – ... sì sono molto belli... – rispose lei in un sussurro.

Kumico fece allora una pausapoi si alzò e fece un mezzo inchino: – ... comunque grazie del drink Ivo... grazie davvero... è tardi... –

Si avviò alla porta; dal suo volto non traspariva nulla. Ivo l’accompagnò: – ... grazie per la visita Kumico, sei molto cara... –

– Contrariamente ai primi timori, dopo appena diciotto giorni, si era parlato inizialmente di almeno due o tre mesi, le restrizioni vennero annullateForse era stato un falso allarme, ma le autorità non lo ammisero.

– fine –

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