LOLA

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LOLA 1

– ... sola... son sola, m’ha abbandonata... che tristezza... son sola, sono sola, sola, sola... – Lola si era ripiegata sotto le coperte. Fuori rombava un temporale che, come un essere pieno di rancore ma infelice come Lola, s’aggirava intorno alla palazzina di via Acutis. Furente cercava di irrompere tra gli interstizi del rotolante, provocava sbatacchìi di porte, pareva graffiare i muri e camminare sul tetto; ora pareva minacciare, ora supplicare.

La donna infilò anche la testa sotto il pesante coltrone. Quell’essere che, come gemente di dolorosa impotenza era parso rabbonito, con un nuovo ululato ricominciava a slanciarsi contro la finestra che, stridendo, si opponeva all’odio del vento.

– ... perchè?, perché? ma cosa avrà lei che io non ho, eh?... eh?... – Rammentava sbigottita la sua voce tremante: – ... tu non mi credi... non mi puoi credere... lo so che non è possibile, ma io voglio bene a tutte e due. Ah! se potessi... ah se potessi... – Aveva pronunciato quelle assurde parole prima di chiudere la porta. Lei era rimasta immobile per qualche minuto fissando incredula le chiavi che l’uomo aveva posato accanto al telefono.

Il rombo del vento, il fragore dei tuoni lontani, il freddo che, insinuatosi dentro alle ossa faceva fremere la poliziotta, tutto si mescolava a quelle parole ancora risonanti nelle orecchie. Tutto veniva ad accumularsi in un’unica impressione, di un qualcosa di surreale. Un sentire che crebbe sempre di più e che si convertì alla fine in un cupo sonno.

– Eppure, quando si erano messi insieme le era sembrato di toccare il cielo con un dito. Lo aveva conosciuto una mattina allo sportello di ricevimento della Questura di Pistoia.

Lei, nonostante la contrarietà dei suoi genitori che l’avrebbero vista meglio come insegnante, aveva fatto con passione e terminato da poco il corso di preparazione teorica e pratica ed era adesso, a tutti gli effetti, agente di Polizia. 

Julian si era avvicinato, con fare timido, al suo sportello. Aveva trovato lungo la strada, vicino a un bancomat, un milione e cento mila lire in contanti in banconote da cento, ravvolte in una busta. Grazie alle telecamere della banca, erano riusciti a risalire ad una coppia di Lucca, titolari di una ditta con sede a Pescia, che distrattamente dopo un brusco litigio, aveva lasciato la busta vicino allo sportello automatico. I due coniugi avevano deciso di offrire una ricompensa, ma Julian, che lavorava a Pistoia da cinque anni in un vivaio con regolare permesso di soggiorno, aveva rifiutato dichiarando di non aver fatto niente di speciale. Per il momento l’uomo disse di desiderare solo una cosa; finalmente la cittadinanza. – ... io qui sto bene e mi sento a casa – aveva dichiarato ad un cronista della Nazione.

Lola che lo aveva seguito nella stesura del ritrovamento fu colpita da quel ragazzo asciutto ma energico e muscoloso: aveva un bel viso e gli occhi buoni. Lui, albanese di Valona, era più giovane di qualche anno della poliziotta. I suoi nonni ancora vivi erano di religione musulmana, ma i suoi genitori cresciuti all’epoca del comunismo non credevano a nulla e neppure lui.

Si rividero una sera per una pizza, poi, nonostante il parere nettamente negativo del fratello di Lola che diffidava degli albanesi, si erano messi insieme. Julian parlava bene l’italiano e pareva avere una mente aperta. Si erano sposati dopo meno di un anno, in comune; una cerimonia semplice, pochi amici e ancor meno parenti; da parte di lui era presente solo un cugino.

I due anni seguenti erano stati come un sogno, entrambi innamorati l’uno dall’altra. Se ne stavano intrecciati a letto per ore, nei giorni di festa sino al mattino quando, lui si metteva nudo alla finestra socchiusa per fumare e guardare fuori nel buio già intaccato dall’alba estiva. Un merlo nelle vicinanze cominciava ad esibirsi in qualche preliminare virtuosismo e l’odore di fieno tagliato nei campi intorno, arrivava fin dentro alla camera degli amanti. Silenzioso, il vivaista alternava boccate di fumo a respiri lenti, profondi. Lei, in posa negligente, il mento appoggiato su una mano e attorcigliata nel lenzuolo ammirava il suo corpo, un armonico insieme di muscoli tesi e rilassati.

Una di quelle volte, un’umida domenica di fine luglio Julian, dopo aver gettato la sigaretta fuori si voltò all’improvviso. Lo sguardo pareva assente e preso da pensieri lontani.

– ... dov’eri andato? – sussurrò Lola mentre lui si chinava a baciarla. – Non lo so di preciso... sono nervoso, ogni tanto mi brucia che al matrimonio non siano venuti i miei vecchi... – Che te ne importa? Ormai è passato un bel po’ di tempo... perché ci pensi tanto? – Volevano che sposassi una vicina di casa... non lo sai come sono forti da noi certi pregiudizi. – Lo dici a me? Anche mio fratello aveva da ridire, ma ora non ci pensa più... mi ha detto che invece ti stima. –

Fuori altri uccelli si stavano unendo al primo merlo nel salutare l’alba che incalzava, sempre meno timida, quella notte estiva. – Vieni qui... non ho voglia di dormire. – Lola lo tirò verso di sé, gli prese il viso tra le mani in modo che i due sguardi si unissero e che le bocche si cercassero. Non c’era altro da dire, se non colmare la rinnovata passione di nuovi fremiti.

Tuttavia, negli ultimi tempi alla donna non sfuggiva, nascosto da quegli stessi fremiti un lampo di inquietudine dolorosa negli occhi di lui. Pareva a lei che Julian avesse un peso il cui solo pensiero lo opprimesse.

– Al vivaio dove lavorava Julian era stato assunto un certo Avni anch’egli albanese. Era arrivato a Pistoia da più di cinque anni ma, una volta acquisito un lavoro e il permesso di soggiorno, dopo pochi mesi se ne era ritornato in Albania per prelevare e portare via con sé moglie, figlioletto e la sorella Miranda, una florida ragazza con lunghi capelli ondulati. Poi non si era mosso da Bottegone, un grosso paesone del pistoiese in mezzo ai vivai. I due fecero subito amicizia. Julian e Avni, coetanei, erano approdati entrambi a Bari sei anni prima proprio nello stesso giorno ma non si erano mai incrociati.

Nell’agosto del 1991, agli italiani sbigottiti la televisione aveva mostrato l’epico sbarco di migliaia di migranti albanesi stipati come sardine sulla nave Vlora; un popolo che stava tentando la sorte alla ricerca di una vita migliore. Durante l'entrata in porto, come formiche straripanti da un fitto formicaio, così apparivano sullo schermo, molti si erano gettati dalla nave in movimento nuotando fino alla banchina e cercando di scappare ai controlli. Per giorni tantissimi vagarono per le strade di una città rimasta quasi deserta per ferie, incontrando ugualmente comprensione e solidarietà tra coloro che erano rimasti a casa.

I due vivaisti albanesi erano tra quelli che in qualche modo ce l’avevano fatta e avevano molto da raccontarsi: – ... io ero tra quelli che si buttarono in acqua, lo sai Julian? –

Miranda era una diciannovenne molto bella, non una tra le tante mentre Lola, già sulla trentina non era un fenomeno. La poliziotta non era alta e per la sua età aveva fianchi appesantiti. Dalla sua poteva contare sul fascino della divisa e su certi occhi color tortora, grandi e sorridenti ma, tra le due donne non c’era confronto dal punto di vista fisico. Alla poliziotta, anche lei naturalmente conobbe quella famiglia, non occorse tanta intelligenza per intuire che, al suo uomo, quella frequentazione stesse creando qualche imbarazzo.

Julian al fondo era una persona semplice e onesta che amava Lola e che, inizialmente, non voleva ammettere neppure a se stesso di essere turbato da quella ragazza. Miranda, arrivata in Italia giovanissima, si sentiva invece molto libera. Il fratello notò subito le occhiate di lei e il disagio dell’amico: – ... senti Julian, mia sorella è un po’ scema, non ci badare. –

Successe invece ciò che, nell’eterno gioco delle umane vicende può succedere. Lei gli telefonava e lo provocava, mentre l’attrazione tra di loro diventava sempre più forte. Julian dopo aver cercato di ribellarsi alla sua debolezza prima diradando le visite al Bottegone, poi cessandole del tutto, alla fine cedè.

Fu in quell’agosto terribile, scossato violentemente tra l’esaltazione del nuovo amore e la sofferenza di dover lasciare la donna che gli aveva dato tanta felicità e che ancora sentiva di amare, che trovò il coraggio di affrontare la poliziotta. Aveva mentito dando la colpa di certi suoi mutismi al cattivo comportamento dei suoi famigliari. Lei aveva intuito qualche cosa ma non che il suo uomo fosse stato vinto fino a quel punto. Non ci furono scenate; piansero tutti e due specialmente dopo che lui ebbe a pronunciare quelle parole indicibili: – ... io voglio bene a tutte e due. Ah! se potessi... ah se potessi... –

 

– Da quel giorno erano passati già due mesi. Lola, che aveva trascorso la notte insonne e terribile tra il rombo del vento, il fragore dei tuoni lontani e i fantasmi delle sue frustrazioni, sul tardi si era infine svegliata. Era una domenica mattina ed era reperibile. Si svegliò male, aveva mal di testa e una bocca amara come il veleno; in compenso il temporale era cessato lasciando il posto a un timido sole. Le vennero in mente tutti i pensieri della notte e gemette.

In quella camera matrimoniale ben arredata aveva vissuto ben altri risvegli. Si preparò il caffè, lo bevve avidamente e tornò a letto. Che altro poteva fare? Era rimasta sola e l’appartamento, nella zona attigua a Viale Adua, un posto tranquillo che dava sui campi coltivati, era suo. Non se la sentiva, per ora, di ritornare a Prato dai suoi genitori. Ci avrebbe pensato.

– Suonò il telefono. Era l’ispettore capo: – Lola, il commissario ti vuole, c’è un’emergenza e oggi siamo ridotti di numero.– Che cosa è successo Perri ? – Un pestaggio, una cosa strana, ci sono da fare i rilievi... vieni agente Panerai Lola. – Si sentì una risatina. – Di che cosa ride il tuo collega? Ho sentito, sai... – Lo Scognamiglio ha detto: l’hai voluta la bicicletta... oh pedala!... – ... che stronzo! – ribattè la donna chiudendo il telefono.

Ma non era seccata. Si vestì, mangiò velocemente qualcosa mentre scendeva le scale e corse alla questura. Prese volentieri l’emergenza; meglio che tormentarsi da sola tutto il giorno.

La vittima era già stata ricoverata al vecchio ospedale del Ceppo; era un ragazzino, sembrava, di origine albanese di tredici anni.

– Ma di che si tratta? roba tra bande di ragazzi? – chiese la Panerai appena fu un po’ informata. – Macché... un testimone dice che sono stati due adulti in passamontagna. – ... ma che dici? –

Intervenne il Commissario: – Agente Lola, accompagna l’ispettore a casa dei genitori, vanno avvertiti subito, ma non rispondono al numero che ci ha dato il ragazzino. –

Il nome della via portava alla frazione Bottegone distante pochi chilometri dal centro cittadino; quando Lola se ne accorse chiese: – ma come si chiama questo ragazzo? – Non si è capito bene, parlava molto male... lo sai, gli hanno gonfiato la faccia e rotto i denti; sanguinava e piangeva. Comunque leggi qui. –

Le porse un appunto: – Sulaj o Sunaj Martin... – L’agente Panerai sbiancò e fece un balzo sul sedile: – Perdinci ! ma io lo conosco, credo di sapere chi è... perdinci ! – Di tutto si sarebbe aspettato quella mattina, meno che di rivedere quella abitazione con i suoi abitanti, causa della sua infelicità.

C’era solo la madre; Avni, disse la donna, era al lavoro. Per fortuna non c’era traccia di Miranda, tantomeno di Julian; Lola non lo avrebbe sopportato. Sulla soglia di casa trovarono un pezzo di cartone strappato da una scatola, su cui con un grosso pennarello nero da magazziniere, qualcuno aveva scritto in italiano e in albanese: “Il sangue si lava con il sangue”

La povera donna, mentre veniva accompagnata all’ospedale dai due poliziotti, piangendo disperata, disse di non saperne niente.

– La cosa era grossa. Il magistrato aprì un fascicolo a carico di sconosciuti, mentre la polizia Giudiziaria avviava gli accertamenti urgenti, le indagini e le necessarie perquisizioni.

Quella frase lapidaria lasciata sull’uscio di casa Sulaj diceva molto dell’ambiente di provenienza dei due malfattori, ma poco per la loro individuazione. Quelle parole richiamavano il “Kanun” un codice non scritto diffuso in alcune zone montane del “Paese delle Aquile” e il sospetto era che alludessero ad una vendetta prevista da quel codice ancestrale.

Avni, prostrato per la sorte toccata al suo unico maschio, fu interrogato per ore. Alla fine cedette, rivelando quale poteva essere il motivo scatenante di quel gesto violento.

Ammise di aver ucciso senza volere il componente di una famiglia del suo stesso villaggio. Era successo cinque anni prima quando, tornato in Albania con l’intenzione di portar via la sua famiglia, aveva investito quell’uomo con la vecchia auto di suo zio. – ... ero impaurito, non avrei potuto tornare più in Italia. Non potevo tollerare una cosa simile... qua avevo un lavoro e qua erano tutte le mie speranze... così scappai di lì e riportai la macchina. – spiegò emozionato con quella pronuncia arrotolata di tutti gli albanesi. Terminò con un filo di voce prima di scoppiare a piangere: – ... ma non l’ho fatto apposta... era un mio compagno d’infanzia... non dormii per tre notti di seguito. –

Gli inquirenti furono molto colpiti dal fatto che un uomo grande e grosso come Avni si fosse lasciato andare ad un pianto dirotto. Era un fatto grave e ci voleva rispetto, si dissero, ma era un fatto accaduto ormai da cinque anni. Comunque il problema era che poteva essere stato solo un avvertimento allo scopo di ricavarne una maggiore soddisfazione di vendetta. ­

– Non c'è scappatoia, il cerchio si chiude solo quando “il sangue è lavato con il sangue” – disse l’esperto. Si trattava di vendicare l'uccisione di un membro della propria famiglia uccidendo un membro qualsiasi dell'altra per salvare il proprio onore. – ... è in questo modo che iniziano le “Giakmarrja”, quando una vendetta genera un’altra vendetta. – concluse l’agente scelto di origine albanese. – Le che? – fece il commissario Nicolosi con una smorfia. Gli fu spiegato che quella parola voleva dire “Faida di Sangue”. Furono interrogate anche la moglie e Miranda, ma la faccenda sembrava fosse stata chiarita. Lola, in quanto conoscente dei fatti e delle persone era spesso presente durante gli aggiornamenti delle indagini. – Piuttosto... – disse preoccupato il commissario capo, – è necessario, a questo punto, uno stretto programma di protezione per quella famiglia. –

Julian che accompagnò le due donne, quel giorno si trovò improvvisamente di fronte Lola. Lei si sentiva quasi protetta dalla divisa e dal ruolo, come una lumaca dal suo guscio; l’uomo invece, come disarmato arrossì e abbassò gli occhi. Poi si riprese: – ciao Lola. – ... ciao Julian... problemi per Avni, eh... dovete stare attenti. – Era stata tentata di aggiungere: e per Miranda, ma per una sorta di pudore non lo fece. Lui si strinse nelle spalle: – sì, lo so... speriamo a bene. – e a capo basso se ne uscì.

A lei sul momento la cosa era parsa meno penosa del previsto, ma la sera a casa non cenò; le si era chiuso lo stomaco, e presto se andò a letto inondando il cuscino di lacrime e rabbia.

– Nei giorni a seguire vennero fuori altri particolari; Avni non aveva detto proprio tutto. La moglie più semplice ed ingenua, ancora interrogata raccontò di vecchi rancori mai sopiti tra famiglie, ruggini incandescenti che avrebbero risvegliato dopo cinque anni, la sete di vendetta. A quanto pare, molti in quel villaggio sospettarono dell’emigrante ma non c’erano evidenze e poi, in fin dei conti poteva davvero essersi trattato di una disgrazia. Non era stato un vero omicidio intenzionale, né un forte disonore, né uno stupro. Quindi ruggini provenienti da più lontano, una vecchia “Giakmarrja” che si era risvegliata.

Ma il commissario Nicolosi non ne era del tutto convinto; gli si era accesa una lampadina: – E se ci fosse qualcos’altro, dottore? – Ne stava riflettendo con il vice questore. – ... per esempio che cosa, Nicolosi, che ha in mente? – Signor questore... – proseguì il commissario con la sua forte cantilena siciliana, mentre guardava fuori della finestra: – ... qualcosa di più materiale che non attenga proprio all’onore... che ne so... qualcosa di molto più prosaico... per esempio... droga, prostituzione... quell’Avni non mi convince del tutto... – concluse. Si era messo comodo con le gambe distese in avanti e sbuffava dal suo sigaro toscano.

Dei due picchiatori nessuna traccia; il testimone che aveva visto la scena da lontano affermò solo che erano due tipi molto alti subito fuggiti correndo, e nient’altro. L’indagine rimase a lungo al palo dei “se e dei ma” e sembrava destinata a finire nel dimenticatoio. Intanto il ragazzo pestato a sangue, Martin, cominciava a stare molto meglio e la famiglia Senaj rimaneva sottoposta a protezione, suscitando commenti e malumori tra gli abitanti di Bottegone. Anche Julian e Miranda con la polizia sempre nei paraggi si sentivano osservati e a disagio, e inspiegabilmente della situazione se ne lamentava anche Avni.

– Il commissario era “single” e l’agente Lola non gli passava inosservata. A lui piaceva tutto di quella donna; gli occhi grandi e attenti, la bocca carnosa, la sveltezza. Quando seppe che si era separata dall’albanese aveva sorriso: – Le sta bene... un albanese, che vuoi sperare. – Ed era anche un tipo testardo; il fascicolo di quell’indagine era ancora sulla sua scrivania, per istinto sentiva di non accantonarla.

Un giorno, erano passati tre mesi dall’aggressione al ragazzo, lo prese in mano e lo aprì distrattamente mentre parlava a telefono. Terminata la telefonata se lo avvicinò; gli era caduto l’occhio sul verbale relativo alla mattina del fattaccio: – Rotondo!... appuntato Rotondo!... quanto ci metti?... mandami subito l’agente Panerai... fai svelto. –

Lola che si trovava allo sportello di ricevimento, si presentò in un baleno: – Ascolti Panerai... lei andò a Bottegone la mattina dell’aggressione al ragazzo. L’ispettore ora non c’è, ho chiamato lei. Sul verbale c’è scritto che il padre del ragazzo non c’era perché era a lavorare in quel momento. Ma non era una domenica mattina? – Sì certo commissario... – Lola confermò anche che fu la moglie ad aver dato loro quell’indicazione, aggiungendo di aver chiamato lei personalmente il vivaio ma senza avere nessuna risposta. Nicolosi si alzò di scatto: – ... ma... allora agente Panerai, come minchia ha fatto a venire subito all’ospedale quello lì... eh? –

Lola fece il viso rosso, esitò un po’: – È stato un vicino di casa che andò subito a chiamarlo... credo. – Il viso del commissario diventò così paonazzo che al confronto quello dell’agente pareva sbiancato: – Ma come credo!... trovatemi l’ispettore... subito! –

Quel particolare sul verbale non era riportato e l’ispettore era colui che aveva redatto e firmato il verbale.

Il vicino di casa, subito interrogato, sostenne che la moglie doveva essersi sbagliata. Lui potè chiamare Avni supponendo di poterlo trovare sull’argine dell’Ombrone dove si recava a volte a pescare, e infatti lo trovò proprio lì. La moglie, confusa e balbettante, ammise che sì, si era proprio sbagliata; quella mattina non si sentiva bene.

– Dicembre quell’anno fu particolarmente rigido e a Natale non mancava ormai molto. I primi fiocchi di neve imbiancarono le colline sovrastanti e le strade erano rese scivolose dal ghiaccio notturno. “La Stradale” aveva il suo daffare con gli incidenti, specialmente sulle strade di montagna.

La sorveglianza alla famiglia Sunaj era stata ormai tolta, ma il fascicolo relativo a quel fatto si trovava ancora sulla scrivania del commissario Nicolosi. Peraltro lo stesso commissario non si era rassegnato neppure al fatto che l’agente Lola apparisse perennemente e secondo lui inutilmente melanconica. La teneva d’occhio; avrebbe voluto dirle qualcosa che non fosse soltanto di lavoro ma si peritava.

Un giorno chiamò agitatissimo il titolare di un vivaio. Gori Silvano era un appassionato vivaista conosciuto da tutti; passava per innovatore, non contentandosi di produrre le solite piantine facili alla vendita: – ... mi hanno rovinato, commissario... mi hanno rovinato... è un disastro – Qualcuno, nottetempo ma presumibilmente due giorni prima, aveva cosparso gran parte delle sue coltivazioni di acidi. Era un evidente e doloso boicottaggio. A Pistoia non era mai capitato un fatto di quel genere. Esisteva la competizione tra produttori, ma questa era un’altra cosa.

Quando venne a deporre in ufficio l’imprenditore era affranto: – ... non capisco... chi può volermi male in questo modo? Non ho fatto niente a nessuno ... anzi... – Si fermò, aveva il nodo alla gola. Il lavoro di tutta la stagione era compromesso, e forse anche di quella successiva. Lola che lo aveva accompagnato, ad un cenno del commissario era rimasta lì presente, forse per redigere la deposizione.

– Se posso commissario... – mormorò l’agente dopo un attimo di esitazione. – Dica, dica pure agente Panerai... che cosa vuole dire?  Vorrei confermare... il signor Gori aiuta le persone in tanti modi e non ha pregiudizi con gli stranieri. – Nel senso che li assume? – ... sì, vi lavora anche il padre di Martin Sunaj... sa... il ragazzo... e anche il mio ex... – Lola deglutì ed esitò, – ... ex marito. – Ah! – esclamò il Nicolosi alzandosi in piedi. – Lei ha con sé Avni Sunaj? – Sì, certo. Purtroppo dovrò pensare alla cassa integrazione. Non posso mantenere dieci persone senza farli lavorare. –

Il commissario rimase pensieroso. Pensò di stare invecchiando, quel collegamento gli era sfuggito. Sicuramente questo particolare, cioè il luogo di lavoro di Avni, pensò ancora, sarà stato riportato nel verbale. – Se non ci fosse, questa volta l’ispettore Perri fa una brutta fine... parola mia. – mormorò piano.

– Come dice commissario? – fece la poliziotta. – ... no, niente, niente, Panerai. Piuttosto signor Gori, mi dica... è un buon operaio il Sunaj? – È uno dei più volenterosi, per questo mi dispiacerebbe. Pensi che nel tempo libero si occupa di un appezzamento di terra che era praticamente incolto vicino al letto dell’Ombrone, ma di mia proprietà. – davvero? – fece il Nicolosi visibilmente interessato – ... cioè che ci fa? –

– Ci fa un bell’orto e ci coltiva diverse piantine d’alloro... sa di quelle che si vendono come pane per fare le siepi?. Ecco, quelle le rivende a me a un prezzo irrisorio che poi io le commercializzo, e dei frutti dell’orto fa a a metà con me: lattuga, pomodori, cetrioli, zucchini, ogni ben di Dio. Ce ne fossero di operai in quel modo commissario! –

Poi l’imprenditore vivaista si chetò e si rabbuiò, riaffiorandogli tutto il dispiacere per l’accaduto. Nicolosi non aggiunse niente; lo congedò rassicurandolo che avrebbero subito fatto delle serie indagini: – ... abbia fede nella Giustizia Gori... abbia fede. – Ma intanto il suo cervello andava a mille.

– Il giorno successivo il caso aveva fatto passi da gigante. L’intuizione del commissario era stata giusta.

– L’intuito è come cantare... se uno la voce non ce l’ha, può allenarsi quanto vuole ma non canta; e l’intuito è lo stesso... o uno ce l’ha o non ce l’ha – disse guardando non casualmente l’ispettore Perri che di quella dote ne aveva pochina, e perciò lo faceva spesso innervosire.

Avni Sunaj in quell’appezzamento lontano dal paese, un po’ maleodorante di rifiuti e abitato da topi vi aveva fatto, insieme a qualche zucchino da portare al Gori in primavera, una discreta piantagione di Cannabis. L’aveva mimetizzata con le piante di lauro per confondere le idee agli eventuali passeggiatori che, dall’argine del torrente, si fossero avventurati casualmente su quel terreno. La squadra antidroga aveva fatto tante volte i conti; il guadagno della coltivazione della canapa poteva aggirarsi intorno ai trenta milioni di lire per ogni ettaro.

Il Sunaj evidentemente aveva pestato i piedi alla malavita organizzata albanese cedendo il prodotto ad altri malavitosi; oppure vendendolo in proprio, ma era cosa improbabile. Il pestaggio all’ignaro figliolo e il sabotaggio al vivaio del Gori che non c’entrava nulla, facevano parte di una serie di avvertimenti di tipo mafioso: – “dire a nuora perché suocera intenda”... capito Perri cosa hanno in testa questi fetusi, eh?... altro che “Giakmarrja” o come cavolo si dice – Il pianto a dirotto di Avni era sincero, come notò Lola facendo sogghignare di soddisfazione il commissario, ma non era per l’amico d’infanzia, ma per se stesso: – Ha capito subito di essersi messo in un bel guaio... –

L’indagine all’appezzamento di terra sull’Ombrone era stata fatta senza dare nell’occhio, ma le conclusioni erano state lampanti. Avni ne era naturalmente all’oscuro. Durante un “brain storming” come il commissario amava chiamare le riunioni di indagine più importanti, egli fu categorico: “ ... tutto questo deve rimanere strettamente segreto... lo scopo è quello di attirare l’orso al miele... noi saremo preparati... intesi? –

 

– Lola si era guadagnata la fiducia del commissario e veniva costantemente convocata in quelle occasioni: – Agente Palmieri, se la sente di far parte della squadra di pronto intervento ... non si preoccupi, se non se la sente... la capirei... – Sono a sua disposizione commissario – rispose la donna. Il Nicolosi la guardò allora ancora più incantato; ci pensava spesso a quella donna ma era un timido e non andava oltre l’ammirazione.

Lei si era accorta di qualcosa in quel senso ma fingeva di non capire; non ci voleva pensare, non era nelle sue corde. Solo una volta realizzò, guardandolo camminare da dietro, che il commissario, un quarantenne in buona forma, tutto sommato non era brutto e che aveva un bel culo.

Riguardo alla squadra d’intervento, sapeva di correre qualche pericolo in più in certe operazioni: – Almeno avrò uno scopo.... a qualcuno sarò utile... tanto s’ha da morire tutti. – Era questo il genere di pensieri non proprio allegri che le passavano per la testa in quel periodo, un po’ per scaramanzia, un po’ per confondere quell’amarezza che non la voleva mollare.

Dopo il giorno del pestaggio, aveva rivisto Julian un’altra volta; era passato dalla questura insieme ad Miranda per dei documenti. Si erano guardati in un certo modo per qualche istante mentre Miranda frugava nella sua borsetta. Lo sguardo di lui, almeno quel giorno, non era il solito sguardo che conosceva. E dire che vi si era immersa tante volte quando, aprendo gli occhi durante certi interminabili abbracci, aveva incrociato i suoi, così espressivi. Allora gli parevano occhi di una persona buona. Quella mattina invece gli parvero smarriti, forse come offuscati da un velo di rimpianto. Quell’impressione, pensò subito dopo, era certamente falsata da ciò che lei stessa aveva desiderato vedere, come effetto della sua cattiveria. – Sì, è così, sono un’egoista... spero invece che sia felice. – concluse poi fra sé.

– Intanto gli appostamenti erano stati programmati per ventiquattrore su ventiquattro e il nucleo operativo centrale di sicurezza, i “Nocs”, era pronto a scattare.

Due giorni dopo l’orso si fece avanti e questa volta per uccidere. Due macchine con quattro persone a bordo, in apparenza senza dare nell’occhio, arrivando dalla Provinciale Fiorentina si erano avvicinate lentamente alla casa di Avni Sunaj.

Gli agenti nascosti e appostati, tra i quali anche Lola, capirono immediatamente e attivarono il piano prestabilito. Le “teste di cuoio” come poi vennero chiamate dal giornalista che ne fece un resoconto sulla “Nazione” circondarono le due macchine e colpirono i pneumatici delle auto per impedir loro la fuga, ma i malviventi, agguerriti e provvisti di kalashnikov, realizzando di essere caduti in un’imboscata, cominciarono a sparare all’impazzata.

Julian e Miranda proprio in quell’ora si trovavano in casa e stavano mangiando, e Avni si era assentato da poco. Il crepitio di quei fitti e paurosi spari di arma da fuoco li fecero sobbalzare. La donna e i figli, atterriti, si accovacciarono sul pavimento, mentre Julian corse alla finestra per capire che cosa stava succedendo; e la vide.

Non credeva ai suoi occhi, era proprio lei. Lola, che indossava il giubbotto anti proiettile, inginocchiata e impugnando la corta mitragliatrice, si stava proteggendo dalla sparatoria dietro un muretto di cinta e, con coraggio sparava a sua volta. Il gruppo di agenti si era infatti fatto avanti, e si trovava in mezzo al fuoco incrociato.

– Julian, Julian... ma sei impazzito? – Urlò Miranda. Il giovane, appoggiato allo stipite interno cercando di guardare fuori, pareva si accingesse ad uscire dalla porta, proprio mentre un proiettile, con un rimbalzo, si schiantava dentro alla stanza mandando in mille pezzi una porta a vetri.

– Ma che fai?... Julian!... – Lola, Lola! – urlava invece il giovane, sordo a quel richiamo. La chiamava forte ma non sentiva; la confusione era enorme e lei era ad una certa distanza. Allora il giovane, accorgendosi che stava correndo dei rischi enormi, come un folle prese a correre per raggiungerla. Due banditi infatti, ormai disfattisi dei passamontagna e giocando il tutto per tutto, con un balzo erano arrivati sul fianco della casa non lontano dall’agente Panerai.

– Proprio il commissario che partecipava anche lui all’azione, alla conferenza stampa del giorno seguente testimoniò del gesto d’eroismo di quel giovane albanese: – Egli, non so dove abbia trovato la forza, è riuscito con uno scatto sovrumano, a frapporsi tra la scarica di kalashnikov e l’agente Panerai... veramente, non ho parole. –

Nel terribile scontro, due dei banditi, proprio quelli che si erano avvicinati alla casa, erano rimasti uccisi mentre gli altri due vennero immobilizzati e arrestati. Anche un agente e una “testa di cuoio” riportarono gravi ferite. Avni Sunaj e il suo vicino di casa sospettato di connivenza furono arrestati.

– Lola era pigramente distesa con le gambe incrociate sull’amaca che il suo babbo aveva tesa tra il pomo e il noce. Amava molto starsene nel giardino della casa nativa. Era una casa antica da contadini in quel di Filettole, un paesino abbarbicato sulle pendici della Calvana, l’aspra montagna domestica dei pratesi. Sentiva che il sole di quella primavera inoltrata fosse il miglior viatico per la sua convalescenza dell’anima. Aveva preso finalmente le ferie e le stava consumando in quel modo, dai suoi “vecchi” che ancora non si erano abituati a considerarla una poliziotta.

Erano passati quattro mesi da quel giorno e pareva un secolo. Immediatamente dopo la sparatoria l’agente Panerai che aveva subito delle escoriazioni era stata ricoverata al pronto soccorso e dimessa la sera stessa, ma il suo cuore era come se avesse smesso di battere. Dopo una settimana di riposo aveva ripreso faticosamente servizio. Alla questura i colleghi adesso la guardavano con rispetto e il commissario cercava di convincerla a prendere le ferie: – vedrà... un bel viaggio le farà bene... – ma lei pensava che il rimedio sarebbe stato peggiore del male. Si era immersa nel lavoro più di prima e lentamente cominciò a respirare.

Mentre alcuni uccelli canterini festeggiavano il fulgore del sole di quella mattina, cantando e saltellando tra i rami degli ulivi, Lola ripensava a quelle cose. Suonò la porta. Sentì lo scricchiolio sul viottolo fatto di sassolini, dei passi della sua mamma: – Lola, hai visite... c’è un signore; ha detto di chiamarsi Nicolosi. –

Sorrise; era domenica e se lo aspettava, glielo aveva promesso.

– fine –

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