IL PACCHETTO

IL PACCHETTO

IL PACCO

– Una calda e noiosa domenica di luglio. L’aria pesante del pomeriggio penetrava anche in casa di Pietro Jones al quale quella calda solitudine gli era tutt’altro che sgradevole. Sdraiato, o meglio stravaccato sul divano, la televisione accesa a voce quasi spenta, il cellulare “silenziato” ma aperto su whatsapp, si era fatto una tisana fredda al finocchio. Gli piaceva l’odore più che il sapore e la sorseggiava piano. Sonnecchiava. Ogni tanto aprendo gli occhi verso la vetrata dava uno sguardo agli arcuati rami del cedro del Libano, appena mossi da una leggera brezza di scirocco. Torreggiava enorme davanti a casa e non di rado, passando da quella strada che portava sopra Settignano, la gente si fermava ad osservarlo. Il vicino, secondo lui un impiccione, gli aveva consigliato di tagliarlo: – qualche volta Pietro, ti casca sopra la testa... poi... fa’ te. – Ma a lui rincresceva, aveva letto che gli alberi, specialmente quelli vecchi e grandi avessero una loro anima, proprio come gli animali o forse anche di più.

Suonarono alla porta. – Oh chi c’è?... chi è che rompe? – Con fatica si alzò, si ricompose, inforcò le ciabatte, aprì la porta. Non c’era nessuno. Stava per richiudere ma abbassando lo sguardo vide, vicino al tronco del cedro, un pacchetto. Fece qualche passo in avanti in giardino, guardò sulla strada ma non vide nessuno. Il pacco era ben confezionato e legato da uno spago ma non c’era scritto né mittente, né destinatario. Lo prese, lo soppesò e lo portò in soggiorno. Ritornato sul divano lo osservò per un po’, poi si decise.

Dentro c’era un libro scritto in inglese e neanche nuovo. Gli parve molto strano; era un romanzo di un noto autore sudafricano: “The golden horn”. Non l’aveva letto, tantomeno nella lingua originale, benché la parlasse correntemente. Dei romanzi di Wilburn Smith ne aveva letti però, nella versione italiana, due o tre e gli erano anche piaciuti. – ... ma che roba è?... – Non capiva e buttò il libro da una parte. Cominciava il “Tour de France” su Rai 3 ed era appassionato di ciclismo; la tappa del Mont Ventoux era di quelle da non perdere. C’era un giovane sloveno in testa e mancava poco al gran premio della montagna. Il commentatore stava dicendo che su quell’arida e terribile montagna, in una giornata torrida, molti anni prima Tom Simpson ci aveva lasciato la vita, quando un “din” del cellulare attirò la sua attenzione. Aspettava uno squillo da Clara che era al mare con i bambini e aveva riattivato la suoneria.

Buttò l’occhio sul display; era ormai un riflesso condizionato. Il mittente non era in rubrica e il messaggio fatto di numeri e lettere era incomprensibile. Pensò che l’avrebbe guardato meglio dopo.

Finita la tappa, spense la TV, finì di bere la tisana che non era più tanto fredda e un attimo dopo suonò il telefono. – ... allora t’è piaciuta la tappa? – Era Clara. Aveva immaginato che Pietro fosse incollato davanti allo schermo e non l’aveva disturbato. Era sulla spiaggia e aveva sentito, dal tablet del vicino di ombrellone, che la telecronaca era finita.

– Sei un amore... come l’ho indovinata a sposarti... – Avevano litigato prima che lei partisse. Faceva così, con l’ironia giocava a sdrammatizzare. Lei usò lo stesso tono: – Lo so, lo so bene... – rispose con voce squillante. – ... ma quando vieni qua? – Vediamo, ho una faccenda da finire. A proposito, ma te hai chiesto un libro usato, per caso? –

Clara disse che non ne sapeva nulla. Gli passò la bambina; il maggiore era ancora alle cabine a giocare a ping pong. – Dimmi la verità ciccia... ti ci voleva un po’ di relax... – ... lo sai come la penso ciccio, sto bene... sono qui per i bambini... – Seguì un borbottio indistinto. – ... c’è Martina con i piedi nell’acqua... ti lascio, ciao.. – a domani –

A Pietro, ancora con la voce di lei negli orecchi, gli venne di pensare di essere stato fortunato. Clara era una gran donna, intelligente e anche bella ma aveva un difetto; era perennemente agitata, a volte gli metteva ansia. – Si preoccupa di tutti; chiunque le può chiedere qualsiasi cosa... c’è poco da fare... scommetto che non vede l’ora di finire con il mare... – Ammise però che anche lui non ne vedeva l’ora.

Avvertendo la tenerezza di quei pensieri gli era venuto di sdraiarsi di nuovo a fissare il soffitto. D’un tratto si rammentò di quello strano messaggio, così aprì l’iPhone e vide che era stato cancellato; ma non dette molta importanza alla cosa. Passò il resto del pomeriggio guardando un film su Netflix.

– Pietro Jones, laureato in medicina senza aver mai esercitato, era figlio di un americano del New Jersey il quale, dalla sua attività di rappresentante tessile di alcune ditte di Prato aveva raccapezzato una discreta fortuna. La mamma era di San Casciano e lui, giornalista “free lance” e scrittore, si sentiva toscano fino al midollo. Per l’anagrafe era Peter Jones ma lui voleva esser chiamato Pietro.

Con sua moglie, pratese, che della città laniera conservava ancora salde radici, si erano incrociati all’università. Clara esercitava la professione di neuro-psichiatra infantile ma la sua attività, prestava servizio presso una Coop Sociale, somigliava più ad un volontariato che a un lavoro ben retribuito. Si sentiva spesso molto coinvolta, troppo a parere di Pietro. Era il motivo ricorrente delle loro discussioni e la causa dell’ultima burrasca.

­–... scusa tanto, si può sapere perché il tuo lavoro è importantissimo e il mio no? perché io non posso far tardi una sera quando ne ho bisogno? Eh?... – ... ma amore... amore mio... – a quel punto Pietro che, in certe occasioni si inalberava con facilità, aveva alzato la voce: – ... ma perché ci sono due figli piccoli, porca Eva... ma chi li deve badare i figlioli eh? Jocelyn? – ... senti Pietro... – anche lei, rossa in viso, prese allora ad alzare la voce: – Senti Pietro, io la Martina e Matteo non l’ho fatti in virtù della Spirito Santo, l’ho fatti con te... quei figlioli sono anche tuoi... ovvia... ovvia! – A quel punto lei aveva sbattuto la porta per andare a piangere di rabbia in camera.

Non è che Pietro volesse snobbare il suo lavoro, anche se, in fondo in fondo ma non osava ammetterlo neppure a se stesso, un po’ lo pensava: – ... ma porca troia... cazzo... ma avverti quando torni tardi... avverti. – La cosa gli ribolliva, non gli voleva andar giù così, agitatissimo, continuava a brontolare per conto suo: – ... per carità, la Jocelyn la fa anche troppo... cazzo! ma avverti almeno lei se non hai fatto a tempo ad avvertire la Pia... ... guarda ho un contrattempo... macché... – La Pia era la suocera pratese che si prestava, pur lontanina, a guardare i figlioli all’occorrenza.

Anche la settimana precedente, prima della partenza per “Le Focette” i due bambini erano rimasti soli per ore con la filippina che era una brava cuoca e donna delle pulizie ma non ci sapeva fare con i bambini. Avevano una “tata” fidata che però se ne andava via alle diciannove e quella sera lui stava tornando da Roma e non ne sapeva nulla.

Esurito il ribollimento di solito stava male per un bel po’ e poi si pentiva di avere alzato la voce. Realizzava per l’ennesima volta che Clara era fatta in un certo modo, quella era e quella rimaneva. Ne era comunque innamorato e durante la notte seguiva quasi sempre la riconciliazione.

 

– Gli ultimi tre libri del dottor Jones invece, come lo chiamava lei sfottendolo, avevano avuto un discreto successo di critica e di vendita. La villetta alle pendici di Settignano, insieme ad altre rendite lascito ereditario dei genitori entrambi morti di incidente stradale, era di quanto più bello si potesse desiderare. I dintorni, che offrivano magnifici scorci di campagna coltivata ad olivo e non solo, erano costellati di preziose ville rinascimentali circondate di splendidi giardini e pergolati. Adesso Pietro provava meno imbarazzo, non sentendo più il bisogno di giustificare ai pochi amici il loro tenore di vita.

Quella sera, la filippina era al mare con Clara, si fece una pizza sul fornellino elettrico e andò a letto presto. L’indomani doveva alzarsi alle quattro e mezzo; lo aspettavano quattro ore di autostrada per arrivare puntuale a Torino da un importante editore.

Ma la mattina dopo non si alzò per tempo; ancora confuso pensò di non aver sentito il trillo del cellulare. Aveva la testa pesante come di uno che avesse alzato il gomito e la bocca amara come il veleno. Si rese subito conto che la casa era stata visitata dai ladri. Gli agenti di polizia, subito accorsi, ipotizzarono che lui fosse stato indotto al sonno profondo da gas narcotizzante. Dopo l’ispezione vollero la lista degli oggetti che gli risultavano rubati. Mancava la collana di perle, qualche oro non di gran valore, un personal computer, una carta di credito poco importante subito fermata in banca, più i contanti presi dal portafoglio della vittima. Altre due carte di credito che teneva in una taschina interna del medesimo portafoglio erano ancora lì e anche il cellulare non l’avevano toccato.

Il fatto delle due carte di credito intonse colpì molto l’agente di polizia che non mancò di darne particolare rilievo nel redigere il verbale. Erano entrati dalla porta del garage sul retro, facendo danni.

Usciti gli agenti, ancora stordito, prima telefonò alla casa editrice per avvertire dell’accaduto, poi fece una lunga doccia. Clara, messa al corrente, come previsto non volle sapere di starsene tranquilla in Versilia: – ... no Pietro... con quello che ti è successo non rimango qui. – ... i bambini hanno bisogno di mare Clara. –Gli rispose che una settimana di mare fosse già sufficiente. Pietro non insistè: – ... tanto lo so, quando lei mette il capo avanti non c’è nulla da fare. –

Si vestì e si preparò ad uscire. Passando dal soggiorno gli venne di sbirciare il divano con la coda dell’occhio: – ... strano... oh quel libro?. – Guardò bene, il romanzo di Wilburn Smith non c’era più. – Eppure era qui, me lo ricordo bene... – Poi uscì. Pensò che i ladri avessero preso anche quello, ma gli sembrava una cosa assurda. Nonostante il danno subito, la discussione telefonica e il nervoso a fior di pelle rise tra sé: – Ladri che rubano un libro usato... in inglese poi... boh... –

 

– Alla redazione de “La Nazione” avrebbe dovuto andarci il giorno seguente ma pensò che valesse la pena di spendere bene ciò che rimaneva di quella giornata cominciata così male.

L’avevano chiamato, seppe, per fare un lavoro sulla “tratta” delle nigeriane. Pietro teneva molto al suo lavoro di giornalista che non considerava affatto fratello povero dell’attività di romanziere.

Anzi più volte, diceva, proprio dalla dimensione fattuale si potevano ricavare non solo spunti per una storia: – ... a volte la realtà supera la fantasia. – ma anche l’indispensabile aggancio alla vita vera. Il suo stile letterario era una sorta di verismo alla Verga con linguaggio attuale.

Della “tratta” era già in parte a corrente, era un fenomeno conosciuto nella piana Firenze Prato Pistoia. Ne aveva parlato in passato anche con Clara che, di quel mondo, per certi aspetti, aveva avuto a che fare.

Cominciò intanto ad informarsi, come avrebbe fatto chiunque, sul web. Vi trovò una gran mole di notizie; seppe nei dettagli dell’Ascia Nera” e dei suoi metodi di reclutamento, lesse della pratica primitiva di stregoneria chiamata “juju” che crea legami psicologici insuperabili e capì in che modo i debiti contratti trasformassero le donne in schiave sessuali. Si informò riguardo alle sevizie e agli stupri orribili che le sopravvissute, tra le migliaia di donne che attraversano il deserto, ricevevano prima di essere vendute al mercato degli schiavi. Arrivate in Italia o in Francia le ragazze, molte delle quali minorenni o addirittura bambine, diventano strumenti di ricchezza in mano alle “madam” e ai “kapò”. Pietro capiva bene che tutto quanto derivasse dalla grande richiesta di sesso a pagamento da parte del mondo degli uomini. Il business delle schiave sessuali portava all’Ascia Nera due miliardi di euro l’anno solo in Italia e circa novanta in tutto il mondo.

– Clara, all’ora di pranzo arrivò a casa con i bambini. Rimase sconvolta; la casa era sottosopra. Si dette subito da fare ma, nel pomeriggio, affidati i bambini alla nonna arrivata intanto da Prato e la cura della casa alla filippina lasciandola brontolare parecchio nella sua lingua, si recò alla Coop Sociale dove prestava servizio.

Era ufficialmente in ferie e i colleghi, vedendola, non nascosero la sorpresa. – Ma che ci fai qui secchiona? – gli mormorò, abbracciandola, anche Valeria. – Non eri al mare? –

Clara le raccontò l’accaduto. – ... beh, anche qua c’è un po’ d’agitazione sai... – Due sere avanti c’era stata una retata alle Cascine e, insieme a tre nigeriani ammanettati con l’accusa di “sfruttamento della prostituzione”, gli agenti avevano portato in questura alcune prostitute, anche loro nigeriane, per accertamenti. – Ma lo sai che insieme ad una di loro c’era una bambinuccia piangente di circa tre anni?.... – come una bambina?... com’è possibile? – ... sì ti dico, una bambina, e anche bella, sembra una bambola... una delle ragazze, giovanissima, era la sua mamma – ... è incredibile. – Riferì che l’assistente sociale le avesse affidate provvisoriamente ad una casa famiglia protetta – ... stavo giusto partendo per Poggibonsi, devo andare a trovarle per fare una relazione medico-psichiatrica. Vuoi venire con me? Hai da fare? – In quella coop sociale ci si occupava, insieme a psichiatria infantile, di inclusione e di fragilità di varia natura.

Clara e Pietro si sentirono per telefono: – ... come vai via?... e i bambini dove l’hai lasciati? –– Amore ti prego, non essere ansioso, è tutto a posto. Ti dico che è una cosa importante, poi ti racconto. –

Queste cose come al solito lo lasciavano perplesso, anzi, lo innervosivano. Continuava a pensare che Clara fosse troppo emotiva e che si facesse trascinare e coinvolgere facilmente da Valeria.

– Si ricordò allora di dover andare in via della Fortezza, in Questura; doveva fare, come da prassi, una deposizione firmata. Arrivato, si accorse che lo aspettavano e se ne meravigliò. Il commissario voleva parlare con lui. Aveva letto, sul verbale, del cellulare e soprattutto delle due carte di credito ignorate. Gli disse subito che la cosa gli pareva una strana anomalia: – ... come dire signor Jones... una singolare mancanza di professionalità. – Non era una domanda. Pareva più un ragionamento ad alta voce. Il dottor Maffii era uomo colto ed era noto per la sua determinazione.

– In effetti ha colpito anche me, commissario. Non me ne lamento affatto, nel bancomat avevo... – Pietro che nel parlare, come assorto, stava guardando la finestra si interruppe e, cambiando tono di voce si volse d’un tratto verso il poliziotto: – Sa un’altra cosa strana commissario? Magari è una scemenza, ma gliela voglio dire: mi hanno rubato anche un libro usato. – ... come sarebbe? – ... sì, proprio un libro usato, di nessun valore. –

Gli spiegò tutti i particolari. Il commissario che era in piedi lo ascoltò attento; poi si sedette lentamente e alzò il telefono posto sulla scrivania: – Agente, chiamami il dottor Venturi, subito! –

Durante la mezz’ora d’attesa trascorsa in una saletta attigua Pietro telefonò a casa: – Pia, come va? tutto bene costì?... sì, sì, lo so... la tua figliola in ferie che va in giro con Valeria... bah, comunque io sono in questura... se hai bisogno chiamami. – Sorrise; anche Pia era critica nei confronti della figliola; non le tornava che Clara, senza mettere tempo in mezzo, in pratica fosse già tornata al lavoro.

Quando lo scrittore fu convocato nell’ufficio del piano di sopra, vi trovò, insieme al commissario e all’ispettore capo, questo dottor Venturi, che seppe poi essere il Vice Questore Aggiunto.

– Signor Jones, le dispiacerebbe ripetere al dottor Venturi, ciò che mi ha detto circa quel libro di Wilburn Smith? –

Pietro spiegò di nuovo tutto. I due funzionari si dettero un’occhiata d’intesa e il Vice Questore prese la parola: – Signor Jones, è una questione molto delicata; spero che sappia essere riservato, ma a lei dobbiamo una spiegazione. –

Era in corso un’operazione, in collaborazione con la squadra anti-droga, che atteneva proprio alla “tratta delle nigeriane”. Si dava il caso che, da un’intercettazione, si fosse venuti a conoscenza di un complesso sistema di crittografia, messo in piedi per comunicare date, orari, luoghi e quantità in merito a consegne di merce illegittima e preziosa. Pietro era attentissimo; gli venne in mente che forse avrebbe dovuto dir loro del lavoro che gli era stato commissionato dal giornale, ma non lo fece.

– La merce in questione, signor Jones, potrebbe essere sia cocaina che carne umana... ragazze nigeriane, anche minorenni. Mi capisce vero? – Pietro annuì. – Ecco, lei ha detto al commissario che il libro gli è sembrato abbastanza vecchio. Ci siamo già informati e ci stiamo procurando tutte le prime edizioni in inglese. – Pietro però non capiva bene e il commissario se ne accorse: – Vede... si pensa che il loro sistema crittografico sia già stato usato dagli inglesi in tempo di guerra; il libro, importantissimo, potrebbe rappresentare la chiave di decodificazione.

Continuò dicendo che avevano ragione di credere che il suo singolare furto non sia stato altro che un modo per confondere le idee e per rimediare ad un maldestro errore di consegna del libro.

– A questo punto... – concluse riprendendo la parola il vice questore... – mancherebbe il messaggio o i messaggi da decodificare. – Dopo qualche istante di silenzio Pietro, con un gesto improvviso si toccò la fronte. Disse di essersi ricordato che, durante la tappa del Tour, gli fosse arrivato uno strano messaggio su whatsapp, poi subito cancellato. I due si alzarono in piedi contemporaneamente, gli occhi del vice questore si erano accesi: – Ce lo dia, presto! – ... che cosa? – ... che diamine! Il cellulare! –

La polizia giudiziaria, risalendo ai tabulati attraverso un software di estrazione, recuperò in poco tempo il messaggio cancellato. Esso conteneva una lunga serie di coppie formate da un numero arabo e un numero romano. Presumibilmente il primo numero corrispondeva alla pagina e il secondo alla parola scelta. I due poliziotti, anche se non avevano ancora in mano la vecchia edizione inglese del libro che ci voleva, erano euforici. Evidentemente i criminali erano stati capaci, disse il commissario quasi tra sé e sé, attraverso veloci ricerche, risalire al cellulare di Pietro partendo dall’abitazione sbagliata: – ... e poi si sono accorti, quasi subito direi, di avere fatto l’errore... altrimenti non si capisce... – ma come diavolo avranno fatto... a sbagliare in un modo così grossolano? – si intromise a quel punto Pietro, esitando.

L’ispettore capo Panarisi si girò a guardarlo quasi stupefatto e si alzò in piedi: – ... commissario, il dottor Jones ha ragione... – che cosa vuoi dire, Panarisi? – ... e se non avessero affatto sbagliato proprio tutto, ma solo in parte? – ... per la miseria... potrebbe anche essere. –

I due si guardarono per un po’: – Vai... sai cosa fare, presto. – aggiunse il dottor Maffii quasi sussurrando. Il poliziotto dal forte accento siciliano non se lo fece ripetere due volte; uscì immediatamente.

In quel momento attraverso il telefono fisso dell’ufficio passarono a Pietro una telefonata. Era sua moglie: – Clara, che succede, dove sei?... – Pietro, è stato terribile, ma ora va tutto bene. – Aveva una voce roca come avesse pianto o stesse per piangere. – Ma che dici? dove sei? – ...va tutto bene Pietro... siamo al Pronto Soccorso dell’Ospedale dell’Alta Val d’Elsa. – Ti spiegherò tutto, ma dovresti venire a prenderci... Valeria ha avuto un attacco di nervi, ora sta meglio e oltretutto nella confusione ha perso la chiave della macchina. – ... ma di che confusione parli? che vi è successo? ma te come stai? – Con frasi smozzicate, un po’ singhiozzando, gli spiegò brevemente che avevano subito una paurosa intimidazione da parte di due neri, all’ingresso della casa famiglia di Poggibonsi. – Ti spiego tutto dopo, ma ora ti prego vieni qua... –

Abbassato il telefono, ai due funzionari che avevano ascoltato la convulsa telefonata, Pietro disse quanto era accaduto a Clara, sebbene avesse capito poco o niente e che stava per partire per Poggibonsi. Ma non fu necessario. Il commissario prese a cuore la faccenda; telefonò lui stesso al collega di quella cittadina il quale, in tempo reale dispose l’accompagnamento immediato di Clara e Valeria alle proprie abitazioni.

Clara era ancora estremamente scossa; appena entrata in casa abbracciò i suoi due bambini e, benchè fosse normalmente molto affettuosa con loro, lo fece con un trasporto inusuale che meravigliò anche la sua mamma. – ... ma che hai Clara?... che ti è capitato? – Pia non sapeva ancora nulla. Clara non aveva voluto preoccuparla. Dopo aver chiamato ripetutamente Pietro che non poteva rispondere, essendo il suo cellulare ancora nelle mani della polizia giudiziaria, aveva saputo da lei che si trovasse in questura.

Aveva appena fatto una lunga doccia quando finalmente sentì la porta di casa che si apriva. Era Pietro che, con suo disappunto, era stato trattenuto ancora per un bel po’ in via della Fortezza. Gli andò incontro e lo abbracciò forte: – ... Pietro, che brutti momenti... – ... non ti si può lasciare sola, lo vedi... –

Lo scrittore e giornalista dopo aver accennato allo scherzo ricambiò con trasporto l’abbraccio. L’osservò in volto; i suoi begli occhi chiari erano molto stanchi e di nuovo umidi. Non la vedeva da giorni e inspirò con piacere il profumo della sua pelle.

Volle sapere. Per entrambi era stata una giornata che si sarebbero ricordati a lungo.

– Avevano visitato, spiegò Clara, insieme alle altre due più anziane, anche la giovane prostituta nigeriana che si chiamava Safiyah e la sua bambina Halima. La piccola, che aveva occhioni grandi e tristi ed era di una bellezza non comune, avvinghiata alla giovane madre non aveva detto una parola. – La mamma era giovanissima; presumibilmente deve aver partorito qui in Italia. Strano che le abbiano consentito di portarla avanti... – disse Clara. – Ancora più agghiacciante il fatto che le permettessero di portarsela dietro mentre esercitava... capisci Pietro?... si portava dietro quella bambola bellissima... –

Pietro che le sedeva accanto seguiva con attenzione e insieme la osservava. Nonostante desiderasse sapere il seguito riguardo all’accaduto non potè fare a meno, per qualche attimo, di pensare di aver sposato una strana creatura. Non aveva molta passione per la casa per il cui andamento si affidava completamente a Jocelyn, ma aveva una sensibilità che a volte la faceva star male. Non si curava molto se i bambini fossero vestiti a modo, ma non faceva altro che sbaciucchiarli, tanto che Andrea, il maschio cominciava a lamentarsene. La sera, con gli occhi lucidi, stava a guardarli anche per mezz’ora mentre dormivano.

– All’uscita della casa famiglia... – proseguì intanto Clara che a quel punto si fece scura in volto, – trovammo, all’ingresso, i due ceffi neri che volevano entrare... – Raccontò che il portiere, anche lui grande e grosso avesse fatto come per impedir loro l’accesso; era una guardia giurata e aveva la pistola dentro la fondina. – Noi eravamo proprio lì in mezzo e, al cenno di voler uscire, quei due energumeni si erano piazzati proprio sulla porta guardando anche noi con fare minaccioso. 

Forse intimiditi dalla pistola della guardia che intanto aveva aperto la fondina, i due neri che presumibilmente volevano dare una severa lezione alle loro “protette”, avevano esitato. In quel momento alle loro spalle apparvero i due poliziotti. Erano gli agenti di una volante che sorvegliavano la zona. La guardia giurata, prima di alzarsi dal suo gabbiotto, intuendo il pericolo, aveva premuto il pulsante di allarme collegato con il commissariato.

– Io e Valeria ci siamo rannicchiate nell’angolo più lontano... ma che botte e che spintoni Pietro... è stato orribile... mai mi sarei immaginato di assistere a qualcosa di simile... Valeria una volta finito tutto e con i due neri in manette è svenuta... povera Valeria... – Alla fine del racconto Clara rabbrividì; Pietro l’abbracciò forte, mentre i due bambini, intuendo lo stato d’animo della mamma le salirono in grembo come a volerla consolare.

Pia, che aveva ascoltato commossa quel racconto pensando ai rischi e alla paura che doveva aver provato la sua figliola, dopo averla baciata ripetutamente, intanto se n’era andata, stretta com’era da altri impegni. Jocelyn aveva già preparato la cena. Clara, a tavola, riprese a raccontare le emozioni vissute, e la tenerezza che la ragazza e la bambina le avevano suscitato.

Ma anche Pietro aveva di che raccontare. Lei ascoltò con estremo interesse la faccenda del pacchetto con il libro di cui ancora ignorava quasi tutto e ancor più la notizia del lavoro che avrebbe dovuto fare sulla “Tratta”. Avevano quasi finito di cenare quando Clara, titubante, alzò lo sguardo verso suo marito: – ... lo sai Pietro, pensavo... perché non si potrebbe, non dico adottarle, ma almeno prenderle in affidamento... –

Lo scrittore rimase a bocca aperta. La neuro psichiatra si era resa conto di aver detto qualcosa di grosso e si era zittita. I due bambini che non avevano ben compreso tuttavia tacevano e sorridevano, imitando, come fosse un gioco, la reazione del babbo. Pietro infatti aveva preso a non muovere, ostentatamente, neppure un ciglio. Infine lo scrittore, rompendo il silenzio si alzò da tavola: – Ciccia... vieni qua... – Le prese una mano, la fece alzare e le schioccò un bacio sulla guancia. Poi le circondò la vita e accennò a qualche passo di valzer senza musica, facendola volteggiare. D’un tratto si fermarono e, dopo un istante, si misero a ridere tutti e due. I bambini e la filippina lì presente, contagiati, risero anche loro. Pietro aveva cercato con un gesto ilare di sdrammatizzare, confidando che Clara, passata l’emotività della giornata, capisse da sola quanto il suo desiderio fosse inopportuno.

– Il giorno dopo in questura arrivarono i libri e la delusione; nessuna vecchia edizione, ognuna di esse con una diversa impaginazione e con un diverso “font”, portava ad alcun messaggio, solo parole prive di senso compiuto. Ci sarebbe voluto solo e soltanto quel libro; ecco spiegato il perché del recupero affannoso da parte dei criminali. Ma il giorno seguente il fitto lavoro condotto dal poliziotto siciliano, fatto di intuizione, di appostamenti e di accurata indagine, portò ai risultati sperati.

Fu arrestato un certo Parris Jackson che si faceva passare per avvocato penalista, come si poteva leggere su una vistosa targa apposta in giardino. In casa sua trovarono ben nascosto dietro un pannello il libro che serviva. Il corpulento nero, individuato anche come Chukwu Jimba, era il capo della banda criminale, referente della tratta e dello smercio di droga per tutta la Toscana. In Italia, come fu ricostruito, il capoccia aveva riesumato il nome e il cognome datogli alla missione anglicana, allorchè, orfano, era stato accolto e cresciuto. Egli poi, da adulto e pieno di risentimenti, si era fatto cambiare nome, preferendone uno tra i più tipici della sua tribù Igbo.

La cosa singolare, ma che spiegava molte cose, era che la villa di tale individuo si trovasse sulla stessa strada della villa di Pietro dopo appena cinquecento metri, e dallo stesso lato, quello che guardava verso il panorama di Firenze. Dalla combinazione tra il lungo messaggio cifrato e il libro, vennero fuori, oltre al luogo e all’imminente data di importanti consegne, anche alcuni nomi, tra cui un nome scottante, quello di un politico locale. Gli sviluppi furono clamorosi.

– Tre sere dopo, i bambini quel fine settimana li aveva presi con sé la nonna, Pietro invitava a cena il commissario, il dottor Maffii. Da buon scrittore aveva sviluppato una sensibilità particolare per captare gli esemplari umani dalla personalità non comune e il commissario era tra questi; ne poteva trarre ispirazione e lo voleva conoscere.

– È buonissimo questo sugo, fatto proprio come si deve. L’ha fatto lei signora? – disse il dottore. – ... no, commissario... – rispose Clara, – l’ha fatto mia mamma. Lo sa come si dice a Prato quando qualcosa è molto buono?...è così buono che s’attacca a’ labbri. – Il dottor Maffii rise; lui aveva due baffi all’antica ed era un buongustaio come tutte le persone intelligenti. Pietro, con un po’ d’imbarazzo, temendo si ritraesse dall’accettare quell’invitogli aveva già rivelato di star lavorando con il giornale per un’inchiesta giornalistica sulla “Tratta”. Il commissario aveva mostrato invece una certa compiacenza: – ... il suo contributo, signor Jones, è stato fondamentale. –

Commentarono il riuscito blitz in quella villa non lontana dalla loro, che per giunta era molto, molto simile. Aveva davanti perfino un grande albero sempreverde. – ... ma non bello come il mio cedro, mi immagino. – scherzò Pietro. Adesso era chiaro come mai i malfattori avessero clamorosamente sbagliato. Sulla loro cassetta della posta e sotto il campanello erano incise soltanto le lettere: P. J. invece che il nome per esteso dello scrittore giornalista. P. J. come Peter Jones, ma anche come Parris Jackson. Clara aveva sempre criticato quella noiosa tendenza “understatement” di suo marito.

In aggiunta, proprio come nell’altra villa, anche nel giardino di casa Jones, sulla destra, c’era una vistosa targa indicante la presenza, in quella casa, di uno studio professionale, quello del Neuro Psichiatra Infantile, dott. Parrini, cioè Clara. Solo che davanti a quella targa, in primavera si era allargato a folta chioma un piccolo acero, un albero a crescita rapidissima, coprendone le indicazioni.

Ad un certo punto Pietro chiese al commissario se, a pare suo, dopo il Covid la prostituzione nigeriana fosse diminuita. Dai dati in possesso alla questura al dottor Maffii pareva di sì.

– Ieri sera sono andato alle Cascine... volevo farmene personalmente un’idea... – disse allora Pietro guardando Clara prevedendo che, a quelle parole, distraendosi dal “tiramisù”, sollevasse subito lo sguardo.

Raccontò che ad un certo punto, pur procedendo pianissimo, avesse dovuto frenare perché una trans gli aveva attraversato la strada all’improvviso colmandolo, con evidente pronuncia brasiliana, di insulti coloriti. Poi trovò un gruppetto di nigeriane, alcune molto giovani, altre meno. Parlavano e scherzavano tra loro mentre si rifacevano il trucco. Si era fermato vicino ma senza uscire dalla macchina, al che due di loro si erano avvicinate al vetro.

– Pietro... ma che ti metti a fare! – esclamò a quel punto Clara tra il serio e il meno serio. Risero. Clara quella sera era veramente bella; aveva riso anche lei ma dopo un attimo di incertezza, socchiudendo i grandi occhi sorridenti e mostrando i suoi denti bianchissimi. I due uomini, ognuno dei due con sentimenti diversi, l’avevano guardata ammirati. In quel momento Pietro pensò che avrebbe voluto abbracciarla e baciarla, ma non poteva e continuò il racconto. Disse allora quanto quelle due donne le avessero fatto pena; una era giovanissima, poteva avere quattordici o quindici anni e l’altra una trentina. Erano in tutta evidenza drogate di qualcosa, anfetamine o cose simili. La più giovane, alta ma non bella, mostrava lineamenti ancora penosamente infantili; gli occhi poi, aggiunse, come inquieti, parevano proprio quelli di una bambina. Mentre la più vecchia, logorroica e quasi nuda, esibiva insieme a labbroni vistosamente tinti di rosso seni enormi, quasi irreali, che ballavano insieme alle sue movenze. Quello spettacolo evocava certe scene felliniane.

Clara a quel punto si alzò improvvisamente e uscì dalla sala. Quelle descrizioni, specialmente quella degli occhi della giovane vittima della “tratta”, l’aveva fatta sussultare. Il giorno precedente, con Valeria che si era ripresa nonostante il brutto trauma nervoso, era ritornata a Poggibonsi. E anche lei aveva visto degli occhi tristi; quelli diffidenti della giovane mamma e quelli profondi e neri della bellissima bambola nera. Occhi rimasti nuovamente come infissi nella memoria del cuore.

Lo scrittore se ne accorse e capì: – Clara... ascolta, vieni qui... ieri ho parlato con il commissario di ciò che ti sta a cuore. – Il dottor Maffii annuì. La donna, i cui occhi chiari si erano fatti lustri come una promessa di pianto, ritornò sui suoi passi affacciandosi alla vetrata della sala.

Pietro, forse per consuetudine professionale, notò che quella sera, non solo si fosse parlato tanto di occhi, di occhi tristi o ridenti, di occhi neri o chiari, ma che ci si esprimesse in prevalenza a sguardi, proprio con il linguaggio degli occhi: – Vieni, siediti. – le disse prendendole la mano.

Le spiegò che le due persone in questione, Safiyah e la sua bambina Halima, insieme alle altre due, per la loro sicurezza e non per altro, erano destinate, proprio all’indomani, a partire per una casa famiglia lontano da Firenze. – Se rimanessero qua, Clara, rischierebbero di essere rintracciate e forse uccise dai criminali che non tollerano tali defezioni... sono il loro patrimonio, la loro fonte di ricchezza... – concluse.

Il commissario proseguì aggiungendo d’aver parlato con il responsabile dell’associazione “Giovanni XXIII” che gestisce quella casa. – Se vuole lei può andare a trovarle ogni due o tre mesi. –

Lo sguardo commosso di Clara, mentre senza imbarazzo continuava a tirare leggermente in su, da fisso davanti a sé, alle ultime parole del commissario si levò piano verso Pietro, più sereno.

– Arrivò l’autunno e il giovane acero posto davanti alla grande targa del Neuro Psichiatra, cominciò a farsi ammirare per il suo foliage. Si colorò di giallo oro fino alle meravigliose gradazioni di rosso fuoco. Poi nell’inverno si spogliò completamente, consentendo a chiunque fosse passato di lì, di leggere il nome del professionista, la tenera e sensibile Clara.

A Pietro Jones, l’anno successivo fu conferito il Primo Premio nel concorso “Mani Tese” per il giornalismo investigativo e sociale.    

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